Ho mandato ieri un biglietto al presidente Berlusconi. Ho scritto: «Grazie», e penso di aver interpretato il pensiero di molti dei lettori de Il Giornale. È entrato in politica, come ha scritto ieri Vittorio Feltri, per fermare l'avanzata di una sinistra illiberale. Diciott'anni dopo esce dal Pdl per la stessa ragione. Il resto sono quisquilie che appassionano guardoni e frustrati. È imbattuto e semmai dovesse in qualche modo tornare lo farà solo per riprovare a vincere. Non chiedetemi se ciò accadrà e come. Non lo so, e neppure mi interessa indagare. So che Indro Montanelli avrebbe fatto bene a non mollare Berlusconi, a seguirlo e aiutarlo con la pazienza di un padre invece che mettersi nelle mani sciagurate dei suoi nemici con un odio e una rabbia che appartiene più al rancore senile di una prima donna al tramonto della vita che alla meravigliosa storia dell'uomo. Quel tradimento della bandiera liberale non fermò il lievitare del progetto berlusconiano e portò pure male alla sinistra come capita sempre ai furbi che usano bandiere altrui.
Memori di quella esperienza, noi la bandiera berlusconiana non la ammainiamo anche se non dovesse mai più sventolare su Palazzo Chigi. La carta di intenti del '94 rimane un faro, non la si baratta con Monti o con la Merkel e neppure con il sei per cento di Casini. Non ci spostiamo dalla ricetta: meno Stato, più libertà personali e d'impresa, meno tasse, padroni in casa nostra. Siamo curiosi di vedere se quel che resta e resterà del Pdl farà altrettanto o se invece il nuovo corso si vorrà infilare nel labirinto della politica dell'inciucio e del compromesso continuo. Possono dire ciò che vogliono, ma lo spazio ancora libero tra tecnici, sirene alla Grillo e tentazioni alla Renzi, è soltanto questo.
di Alessandro Sallusti
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