Il braccio di ferro continua e il testo di riforma della legge sulla diffamazione, all'esame del Senato, si arena ancora. Mentre «giornalisti e cittadini sono nuovamente chiamati a mobilitarsi contro il pericoloso ddl» - avvisa la Federazione nazionale della Stampa italiana, che convoca per lunedì 29 ottobre, in piazza del Pantheon, un nuovo presidio - a Palazzo Madama il dibattito dovrà ricominciare a inizio settimana. Come nel gioco dell'oca, tutto riparte. Con un grosso rischio, fotografato proprio dalla Fnsi: i «propositi di vendetta di un'intera categoria» (la politica) contro l'informazione. Ad agitare le manette ha pensato ieri nuovamente Francesco Rutelli, leader di Api: «In tutte le democrazie europee è previsto il carcere per le diffamazioni gravi, oppure sanzioni pecunarie severe». Rutelli punta il dito contro la «spazzatura diffamatoria» per distinguerla dal «giornalismo d'inchiesta» e alla fine si lancia in un finto benevolo: «Togliamo il carcere, salviamo Sallusti. Ma non passiamo a sanzioni ridicole».
Che il clima sia surriscaldato lo si capisce anche dalle parole di Anna Finocchiaro, presidente del Pd in Senato e di Franco Mugnai, capogruppo del Pdl in commissione Giustizia. La prima precisa: «L'aula non parlava di reintrodurre la pena del carcere, non si appassionava a questo, ma sulla misura della pena pecuniara», dice tentando di spiegare gli ulteriori ritardi. Sull'aria tesa attorno al ddl: «Ho assistito una degenerazione della discussione in Senato - dice la Finocchiaro - Un testo di legge, concordato tra tutte le forze politiche e che toglieva il carcere e la responsabilità oggettiva del direttore, è un passo avanti che noi auspichiamo da 15 anni». Le fa eco, con altre motivazioni, Mugnai del Pdl: «Sulla riforma del reato di diffamazione a mezzo stampa è in atto un'operazione di strumentalizzazione sia da parte di alcuni esponenti politici in cerca di visibilità, sia da parte dello stesso mondo giornalistico.
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