Milano - Aveva ragione Veronica, dice la Procura di Milano. Al termine della requisitoria in un processo in cui Silvio Berlusconi non è imputato, ma in cui la presenza del Cavaliere aleggia dall'inizio alla fine, i pubblici ministeri Piero Forno e Antonio Sangermano chiedono la condanna di Emilio Fede, Nicole Minetti e Lele Mora a sette anni di carcere per induzione alla prostituzione. Ma è evidente - anche se il pm Sangermano esordisce dicendo che «non faremo qui un secondo processo a Berlusconi» - che è lui, Berlusconi, il protagonista indiscusso della scena. E che sotto accusa c'è quanto su sua volontà e nel suo interesse accadeva nella sua casa, l'«ambiente orgiastico, l'orgia bacchica che si verificava nelle sale di Arcore». Ed è alla ex moglie di Berlusconi che Forno tributa una sorta di riconoscimento alla fine della sua requisitoria, citando il pubblico j'accuse di Veronica Lario su «un sistema in cui le vergini venivano date in pasto al drago per la loro ambizione e per i loro interessi».
A suo modo Forno ha ragione, perché l'intera requisitoria si è mossa nel solco che, dal caso Noemi in poi, ha segnato l'attacco giudiziario al Cavaliere: il suo lato più intimo, «la coerenza tra dichiarazioni pubbliche e comportamenti privati». «Non abbiamo guardato dal buco della serratura - dice Sangermano - ma abbiamo perseguito reati. Cosa avremmo dovuto fare, davanti alle notizie di reato che ci venivano dalla polizia? Cestinarle, archiviare senza indagare? Chi sostiene questa tesi ricorda che in Italia esistono la obbligatorietà dell azione penale e l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge». Sotto accusa c'è, sempre e comunque, Berlusconi: che dopo la richiesta di sei anni di carcere avanzata nel processo contro di lui, si ritrova nuovamente, anche se indirettamente, sotto tiro. E che infatti in serata reagisce con asprezza, «la fantasia dell'accusa appare davvero senza confini e si spinge a una patologia giuridica che non può che destare indignazione», perché la descrizione di quanto accadeva ad Arcore è «quanto di più lontano dalla realtà sia possibile immaginare».
In questo quadro, le responsabilità dei tre imputati di questo processo passano quasi in secondo piano. Minetti, Fede e Mora, secondo l'accusa, sono colpevoli allo stesso modo e meritano la stessa pena, per avere «individuato, reclutato e organizzato» le ragazze da portare ad Arcore. E non è significativo che le ragazze abbiano accettato quasi tutte di buon grado di venire accolte alla corte del Cavaliere, perché il reato di induzione alla prostituzione si perfeziona, dicono i pm, anche se si dà la spinta finale a chi già di per sè potrebbe essere avviato su quella strada.
Poi, e soprattutto, c'è Ruby: vittima principale per la Procura di questi processo, a dispetto dei suoi dinieghi ripetuti, e portati anche in questa aula, di avere fatto sesso con Berlusconi. «Ma i rapporti sessuali sono avvenuti», dicono i pm, appoggiandosi sulle confidenze fatte da Ruby alle amiche. E se Ruby ha fatto sesso a pagamento con Berlusconi, chi l'ha portata ad Arcore ha commesso un reato, a dispetto della sua disinvoltura, del suo metro e settanta: «un minorenne è protetto dalla legge anche se ha un seno sviluppato».
Perché Ruby menta, su questo la Procura lascia le porte aperte: perché si vergogna di quello che ha fatto, o perché si aspetta di venire ricompensata. Non c'è prova, ammettono i pm, che Silvio Berlusconi abbia comprato il suo silenzio. Ma, in certi casi, basta la speranza.
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