Landini, che figura. Fa scena muta in tv su Gibelli licenziato da portavoce Cgil usando l'articolo 18

Il segretario incalzato da "Quarta Repubblica" oppone un secco no comment a chi lo smaschera sul jobs act

Landini, che figura. Fa scena muta in tv su Gibelli licenziato da portavoce Cgil usando l'articolo 18
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Il Jobs Act è «una follia». È «contro i diritti dei lavoratori». Va «abolito». «Abrogato». «Cancellato». Per tutti, tranne che per me. Già: stavolta l`illustrissimo Segretario Generale della Cgil Maurizio Landini, acerrimo nemico dei licenziamenti e della «precarietà», implacabile difensore dei lavoratori che perdono il posto per colpa dei cattivissimi padroni, promotore di un (improbabile, anzi impossibile, ma lui lo annuncia lo stesso) referendum per abrogare la riforma del lavoro firmata dall`odiato Renzi, è stato preso in castagna. E che la contraddizione gli faccia assai male lo dimostra lui stesso, sottraendosi con un imbarazzatissimo e muto «no comment» alla troupe tv della trasmissione Quarta Repubblica (Rete 4) che lo incalza: «Segretario, a quanto ci risulta il 4 luglio la Cgil ha licenziato lo storico portavoce del sindacato, Massimo Gibelli. Ne è a conoscenza?» Landini gira la testa, affretta il passo, non risponde. «Segretario, è stato licenziato con una formula che si ritrova proprio nel Jobs Act, quello che la Cgil vuole eliminare. E lo utilizzate per licenziare i vostri dipendenti?» Landini serra le labbra, non risponde, scappa.

Del resto che potrebbe rispondere? Le cose stanno proprio così, e a raccontarlo (con un intervento su Huffington Post) è stato lo stesso protagonista, malgré soi, della imbarazzante faccenda.

Massimo Gibelli, 64 anni, torinese, provenienza socialista, è entrato in Cgil nel lontano 1983. Ha collaborato con tutti i grandi leader sindacali degli ultimi decenni, da Lama a Del Turco a Trentin. È stato il portavoce ( cortese, abile e notissimo interfaccia con tutti i giornalisti) di Sergio Cofferati, ai tempi della sua clamorosa tentata opa sui Ds, e poi di Susanna Camusso.

Finché alla Cgil è approdato Landini, che ha deciso di licenziarlo. Utilizzando proprio l`immondo Jobs Act: «Oggi, 4 luglio 2023, è da considerarsi il suo ultimo giorno di lavoro», gli è stato comunicato dal segretario organizzativo Luigi Giove. Licenziamento per «giustificato motivo oggettivo». Già nel 2021, racconta su HuffPost Gibelli, la segreteria Cgil aveva «deliberato la soppressione della posizione di portavoce del segretario» che lui ricopriva. Motivazione surreale, ma nero su bianco: «Avendo il segretario l`abitudine e propensione a intrattenere direttamente i rapporti con i media». Da cui si deduce che Landini è abituato a importunare telefonicamente, per chiedere interviste e sollecitare ospitate tv, a direttori ed editori: immaginabile, vista l`ansia di visibilità del personaggio, ma non proprio usuale.

L`abolizione del ruolo, come nelle soppressioni di «ramo di azienda» dei vituperati padroni, serviva a mettere le premesse del licenziamento di un dirigente considerato - evidentemente - poco in sintonia. «Il licenziamento è stato impugnato», scrive Gibelli. La Cgil dovrà dimostrare di non aver potuto ricollocare un dipendente nonostante vanti «5 milioni di iscritti, 12 categorie nazionali, 21 strutture regionali, 102 Camere del lavoro, patronati, Caaf, società di comunicazione, incarichi in enti pubblici, sedi in 3 continenti».

Anche se, va notato, i «5 milioni

di iscritti» vantati da Landini sarebbero in calo precipitoso, a sentire le voci interne: la Cgil rischia di chiudere il 2023 con 600mila iscritti in meno, precipitando (a poca distanza dalla Cisl) a 4 milioni e 400mila.

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