Lo sciopero è un diritto sacrosanto riconosciuto ai lavoratori e tutelato dalla Costituzione. Spesso in passato se n'è abusato, travalicando i confini della legittima rivendicazione sindacale, per portare avanti altri scopi.
Nell'annunciare il nuovo sciopero del 12 dicembre Maurizio Landini, segretario della Cgil, spiega così le proprie ragioni. "Non siamo alla resistenza alla protesta, ma siamo al tentativo di costruire un progetto sociale di cambiamento e chiediamo alle persone di scioperare e di partecipare proprio per essere protagonisti di questo processo del cambiamento". Il leader del sindacato rosso lo ha detto partecipando all'iniziativa "La crisi dei salari".
Landini snocciola cifre su tasse e gettito fiscale, facendo le pulci alla manovra del governo. Tutto legittimo, per carità, ma la sua esternazione ha il sapore di un'analisi politica più che sindacale. Insomma, Landini gioca a fare il leader della sinistra e, forse, manda un chiaro segnale a Schlein e Conte, dettando loro la linea.
"Banca d'Italia dice che in Italia ci sono 500.000 persone, su 59 milioni, che hanno ogni anno una ricchezza netta che supera i 2 milioni di euro" e "un contributo di solidarietà dell'1,3% porterebbe un gettito di 26 miliardi, che se ci pensate è equivalente ai 25 miliardi di tasse pagate in più da 38 milioni di persone che non dovevano pagare". E ancora: Il contributo di solidarietà non è una "patrimoniale", "ma qualcosa di più strutturato", "se ragioni in quella direzione, trovi delle risorse per la sanità, per i salari, posso fare tante risorse, se no in termini generali per gli investimenti e per politiche industriali".
E di nuovo un richiamo alla sinistra, una sorta di appello alla mobilitazione: "La situazione è drammatica al punto che oggi si è poveri lavorando. E questo sta determinando una crisi della democrazia senza precedenti, al punto che la maggioranza dei cittadini non va più a votare. Questo è il tema della discussione sindacale, politica e sociale. C'è una azione sindacale e politica ma anche culturale da mettere in campo a questo significa un cambiamento della pratica politica e sindacale".
Una dura stoccata Landini la rivolge a chi, soffermandosi sulle forti tensioni di Genova (fumogeni della polizia contro il corteo e calci e pugni ai rappresentanti della Uil), ha denunciato i rischi di eversione: "Non c'è stato nessun atto di terrorismo come è stato dichiarato, anzi, ci andrei piano con questi termini, perché siamo nell'azienda ex Ilva, che è l'azienda di Guido Rossa, che è stato ucciso dalle Brigate Rosse, che era un iscritto alla Fiom. Certo c'è stato una tensione sindacale, perché siamo in una vertenza delicata, che ha visto delle proclamazioni di sciopero della Fiom, della Fim, dell'Usb e non della Uilm, quindi c'è stata una tensione, anche una discussione. Noi siamo per ricostruire un percorso unitario - ha sottolineato il leader della Cgil -, per riconoscere e rispettare anche le differenze, il punto oggi è la lotta che quei lavoratori hanno messo in campo per chiedere che venga ritirato il piano, che di fatto rischia di portare alla chiusura, e che si riattivino le attività anche a Genova.
Mi pare tra l'altro che dall'incontro che il governo ha fatto questa mattina con il sindaco e con il presidente della Regione arrivano segnali che vanno nella direzione richiesta dai lavoratori e quindi credo che la lotta dei lavoratori e la lotta della città di Genova dimostri che quello è il modo per difendere il lavoro e per far crescere questo Paese".