Nulla di fatto. Ieri alla prima convocazione dell'assemblea straordinaria del Monte dei Paschi si è presentato solo il 49,3% del capitale: una partecipazione insufficiente a garantire il quorum del 50% più un'azione necessario per costituire l'assise che avrebbe dovuto deliberare sull'aumento di capitale da 3 miliardi di euro.
I grandi soci del Monte erano tutti presenti e, secondo quanto risulta, era stato depositato circa il 51% del capitale. C'era, ovviamente, la Fondazione Mps, che con il suo 33,5% ha già in tasca il rinvio della ricapitalizzazione al prossimo maggio e non al mese prossimo, come invece già concordato dal presidente Alessandro Profumo e dall'amministratore delegato Fabrizio Viola con il consorzio di garanzia guidato dalla svizzera Ubs. C'era anche Giovanni Alberto Aleotti del gruppo Menarini con il 4% acquistato due anni fa. Erano presenti i due soci finanziari JpMorgan (2,5%) e Axa (2,05%), l'assicuratore francese partner nella bancassurance. E non mancava nemmeno Unicoop Firenze che, pur avendo ridotto all'1,76% la propria partecipazione, si è comportata con la massima lealtà. Il mancato quorum, secondo i rumor circolati a Siena, sarebbe da imputare all'assenza di qualche fondo di investimento e di qualche azionista individuale con uno «zero virgola».
Tattica dilatoria per consentire una ricomposizione in extremis del dissidio tra il management dell'istituto e il suo principale azionista? Assolutamente no. Non a caso ieri Mps è stato l'unico titolo bancario ad accusare una flessione a Piazza Affari cedendo il 2,15% a 0,173 euro nonostante il buon avvio di seduta.
Senza aumento di capitale l'istituto di Rocca Salimbeni rischia seriamente di incorrere nella scure dell'Unione europea che per dare il via libera all'aiuto di Stato da 4 miliardi (i cosiddetti Monti-bond) ne ha chiesto la restituzione di una grossa tranche in tempi brevi. Ma, a differenza di quanto si crede a Siena, rimettere in piedi un consorzio di garanzia per un aumento di capitale superiore al valore di Borsa della banca (2 miliardi) non sarà impresa facile. Tutt'altro.
In ogni caso, oggi sarà sufficiente la presenza di un terzo del capitale, cioè della Fondazione, per dare il via ai lavori e il numero uno dell'ente, Antonella Mansi, ha già rinnovato l'appuntamento alla convocazione odierna. Con buona pace di tutti quanti, sarà votato il rinvio dell'aumento e molto probabilmente - come già anticipato nella lettera diffusa alla vigilia di Natale - il presidente Alessandro Profumo e il resto del consiglio di amministrazione trarranno le dovute conseguenze alla bocciatura del piano predisposto. L'ipotesi di dimissioni sono molto più che una voce di corridoio, tant'è che nel capoluogo toscano si discute già del possibile successore del presidente. C'è chi vedrebbe bene Divo Gronchi, ex direttore generale della banca, oppure una figura di garanzia come l'ex ministro e presidente del Monte, Piero Barucci. Molto quotati anche il numero uno di Lazard Italia, Carlo Salvatori, e il presidente di Snam ed ex Bce, Lorenzo Bini Smaghi. Quest'ultimo è l'unico «under 70» e, dunque, candidabile alla presidenza dopo la riforma dello statuto di Mps.
L'unica tragedia per la città sarebbe perdere il Monte. Le scelte che stanno maturando, tuttavia, avvicinano il baratro piuttosto che allontanarlo.
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