L'editto di Re Giorgio: nuova legge elettorale e voto in primavera

S cordatevi la crisi. «C'è materia assai rilevante per l'impegno del governo e del Parlamento», dice Giorgio Napolitano, c'è la legge di stabilità da approvare e c'è molto altro da fare per mettere il Paese in sicurezza. E le elezioni anticipate, quelle poi non sono proprio previste: «La legislatura e il settennato presidenziale avranno una scadenza naturale, tale da suggerire un'ampia e operosa assunzione di responsabilità in vista delle sfide che abbiamo di fronte». Dunque, nonostante il terremoto siciliano, il bradisismo del Pdl e le scosse telluriche provocate dal Cavaliere, si voterà solo in primavera. Come? «Sulla base di regole nuove», sostiene il presidente, che considera quindi obbligatorio, quasi scontato, l'addio al Porcellum.
Ancora cinque mesi, 150 giorni prima del tutti a casa. Pochi? Tanti? Sono comunque abbastanza, secondo il Quirinale, perché i partiti si diano una regolata, si sveglino, si attrezzino per ripararsi dal vento dell'antipolitica, che come Sandy minaccia sfracelli. «È una scadenza sufficientemente vicina - spiega il capo dello Stato - per consentire alle forze politiche di prepararsi a riassumere pienamente il loro ruolo nella vista istituzionale, sottoponendo liberamente al corpo elettorale le loro diversificate analisi e piattaforme programmatiche». Il pozzo è vicino, attenti a non finirci tutti dentro.
Napolitano però vuole che alle urne l'Italia ci vada con un nuovo sistema elettorale, capace di dare stabilità e maggioranze certe. Il Porcellum oggi in vigore assegna infatti un forte premio di maggioranza alla Camera, ma a Palazzo Madama il bonus viene assegnato su base regionale: stando ai sondaggi, agli esiti del test siculo e al previsto boom grillino, la nuova legislatura rischia di ritrovarsi un Senato balcanizzato. Una condizione impensabile per un Paese che invece ha bisogno di solidità per uscire dalla crisi economica.
Servirebbero perciò, per il capo dello Stato, «nuove regole» per migliorare la governabilità. Peccato che i partiti abbiano molto raffreddato il loro ardore riformatore, a cominciare dal Pd, che si sente già in tasca la vittoria in primavera. E anche nel Pdl nelle ultime settimane, vista l'aria che tira, si è fatta strada l'idea di mantenere il Porcellum, che limiterebbe i danni e costringerebbe tutti a larghe, forse larghissime intese. Napolitano non si rassegna e chiede «responsabilità». Se non l'otterrà, potrebbe lanciare altri accorati appelli. Oppure, potrebbe ricorrere allo strumento costituzionale del messaggio scritto alle Camere, come ipotizzato nei giorni scorsi dal presidente del Senato Renato Schifani. Sicuramente un atto formale forte, ma la cui reale efficacia è tutta da dimostrare.
Magari è per questo che Napolitano per ora si limita a sollecitare un ulteriore «sforzo» ai partiti per completare al meglio la legislatura, Lo fa parlando al Quirinale, durante la cerimonia per i 150 anni della Corte dei conti, l'occasione giusta per rammentare a tutti la posta in palio. E ricorda la riscrittura dell'articolo 81 della Costituzione, che introduce la regola del pareggio di bilancio. «Forse non si è ancora ben apprezzata l'importanza di quella riforma e delle sue implicazioni in materia di controllo della finanza pubblica». Rigore, tagli e attenzione ai mercati. È in questa cornice, insiste, «che ora si muovono i provvedimenti da me citati all'esame del Parlamento».

Come ad esempio la legge di stabilità, che Napolitano considera cruciale. Prima della sua approvazione non può e non deve succedere nulla, come spiega a Letta e Schifani, gli ambasciatori mandati sul Colle da Silvio Berlusconi a rincollare gli ultimi cocci.

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