Sulle montagne russe per un'intera mattina, tra conte di parlamentari che non tornavano mai, scenari che cambiavano ogni dieci minuti e spaziavano dal un fine corsa sicuro a un tagliando valido fino al termine della legislatura. Poi lo spariglio di Silvio Berlusconi che ha messo il futuro del governo (oltre all'umore di Enrico Letta, minato anche da una notte in bianco) su un binario decisamente migliore. Tanto che il voto di fiducia al Senato è passato con 235 voti a favore e 70 contrari. Alla Camera in serata i sì sono stati 435 contro i 162 no. Insomma, un plebiscito
Il premier - raccontavano fonti vicine a Palazzo Chigi - non si aspettava il voto di fiducia di Berlusconi. Appena il leader di Forza Italia ha terminato il suo intervento in Senato, dai banchi del governo non si è trattenuto e si è lasciato scappare un «è un grande», ben ripreso dalle telecamere. Ironia nei confronti del Cavaliere, secondo i quotidiani on line della sinistra che ieri rilanciavano il video. Un omaggio spontaneo, assicuravano da Palazzo Chigi.
Sicuramente quello è stato il vero punto di svolta della giornata che era iniziata intorno alle 9,30 in un clima completamente diverso. Ingresso nell'Aula di Palazzo Madama, poche battute con giornalisti amici e un «ce la faremo», che a tutti è sembrato sottintendere «per il rotto della cuffia». Poi l'intervento, limato fino a un'ora prima a Palazzo Chigi e puntato su toni drammatici.
«L'Italia corre un rischio che potrebbe essere fatale, sventare questo rischio dipende da noi, dalle scelte che assumeremo, dipende da un sì o un no». Lo spettro di un commissariamento da parte dell'Europa è ancora vivo così come la prospettiva di un semestre europeo a guida italiana passato nell'instabilità. «L'anno in cui avremo la presidenza» del semestre Ue - ha avvertito il premier - sarà «un anno in cui non potremo permetterci di far mancare la nostra voce».
La proposta politica alla maggioranza era secca: «Il governo è nato in Parlamento e se deve morire deve farlo qui». Per il dopo la proposta era un «patto politico». Un vincolo più forte anche perché «le dimissioni una settimana fa dei parlamentari Pdl mentre ero impegnato all'Onu hanno creato una situazione insostenibile».
Nessuna vera apertura alle posizioni del Pdl nel discorso al Senato, se non un accenno al rispetto degli impegni sulla tassazione della casa. Nel merito del programma futuro, Letta si è concentrato sul versante della crescita con ammiccamenti alle posizioni del Pd. «Con la legge di Stabilità - ha annunciato - opereremo un taglio del carico fiscale sul lavoro per entrambe le componenti, sia a carico del lavoratore, sia a carico dell'impresa». Nessun accenno all'Iva, già aumentata di un punto il primo ottobre.
Mood completamente diverso alla Camera, una volta incassato il via libera di Forza Italia direttamente da Berlusconi. Al posto dell'allarme sul «rischio fatale» per il Paese, il riconoscimento di un «passo avanti, un passo di consapevolezza» di cui anche le «nostre istituzioni avranno da guadagnare»,
Sollievo a parte, fino a ieri sera lo stesso Letta non si è sbilanciato nel dare un'interpretazione politica della mossa di Berlusconi. «Aspettiamo che si siano assestati sui gruppi e le scelte dei ministri», spiegava un esponente del governo vicino al premier. In attesa di novità, il premier ha preferito non compromettere le intese messe in piedi fino a poche ore prima della svolta al senato. «La maggioranza ci sarebbe stata comunque». Quindi, il governo d'ora in avanti lavorerà «con una maggioranza politica coesa» anche se «questa è diversa dalla maggioranza numerica». Tradotto, i fuoriusciti dal Pdl sono parte della maggioranza politica. Il fulcro del governo restano i ministri ex Pdl. La nuova Forza Italia, se vuole ci sarà, ma basta diktat perché «tanto il governo non cade». Il messaggio di Letta sulla «maggioranza politica» riguarda solo in parte il centrodestra e ieri non mancava chi interpretava questa e altre parole del premier in chiave «neodemocristiana».
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