«Sarkozy ci ha rimesso... Le Pen», ironizzava ieri sera Francesco Storace. Una battuta la sua, ma che nasconde un dato niente affatto banale. Se due settimane fa, al primo turno delle presidenziali, la Francia si era espressa in maggioranza per candidati di centrodestra (sommando i voti di Nicolas Sarkozy e Marine Le Pen si arriva al 46,5% contro il 39,7% raccimolato da François Hollande e dall’altro candidato di sinistra Jean Luc Melenchon), da ieri l’Eliseo torna a essere guidato da un socialista dodici anni dopo Francois Mitterand. Con il contributo decisivo di quei sei milioni e mezzo di voti del Front National che la Le Pen ha deciso di non indirizzare su Sarkozy al punto da annunciare che avrebbe votato scheda bianca pur convinta del fatto che «Holland deluderà in fretta». Così, ieri la Le Pen ha già iniziato a lavorare in vista delle legislative del mese prossimo invitando i francesi «a unirsi attorno» al Fn in modo da farlo diventare «il vero partito d’opposizione ai socialisti».
Uno degli aspetti da non sottovalutare delle presidenziali francesi, insomma, è che - pur essendosi la Francia espressa in maggioranza per candidati di centrodestra- alla fine la corsa all’Eliseo l’ha spuntata il Partito socialista. Divisi, dunque, non si vince. Soprattutto se la distanza è così siderale che la leader del Front National hadeciso di invitare esplicitamente il suo 17,9 per cento di elettori a votare scheda bianca.
In Italia qualcosa di simile- seppure con tutte le differenze del caso- è già accaduta nel 1996. Quando l’Ulivo di Romano Prodi ebbe la meglio sul Polo delle libertà di Silvio Berlusconi con la Lega che scelse la corsa solitaria. Erano gli anni del Carroccio che sparava a palle incatenate contro «Berluskaz » e che doveva legittimare la sua scelta di lasciare di far cadere di fatto il primo governo del Cavaliere. A contare i voti, l’elettorato di centrodestra era decisamente avanti: se Forza Italia, An, Ccd-Cdu e Lega avessero corso insieme avrebbero raccolto oltre il 52% dei voti riportando il Cavaliere a Palazzo Chigi. Invece quel 10% incassato dal Carroccio fu decisivo visto che le due coalizioni erano divise da soli due punti (42% contro 40).
E una situazione simile potrebbe ripresentarsi anche quando l’Italia tornerà alle urne, che sia ad ottobre come sperano in molti o nel 2013 alla fine naturale della legislatura. D’altra parte, le amministrative di ieri e oggi sembrano essere le prove generali. Basti pensare al caso di Monza, dove almeno secondo i sondaggi di una settimana fa - il candidato del Pdl è dato al 28%, quello del Pd al 35 e quello della Lega al 20. Fossero andate insieme la partita poteva essere chiusa al prima turno, così invece il sindaco uscente del Carroccio rischia di avere lo stesso ruolo della Le Pen.
Certo, in vista delle prossime politiche il discorso è ben più complesso. Perché ancora non si sa con quale legge elettorale si voterà, ma soprattutto perché le divisioni non sono solo tra Pdl e Lega, ma anche verso il centro. Pur giocando in solitaria ormai dal 2008, infatti, non c’è dubbio che l’elettorato dell’Udc guardi soprattutto all’area di centrodestra. Tant’è che tutti i sondaggi confermano che un’eventuale alleanza dei centristi con il Pdl porterebbe a una consistente migrazione di voti verso il Pdl. Insomma, quell’8,5 che qualche settimana fa gli attribuiva un sondaggio di Alessandra Ghisleri sarebbe destinato a dimezzarsi.
Se il sistema elettorale continuerà a garantire il bipolarismo, dunque, lo spezzettarsi dell’elettorato di centrodestra in partiti diversi e non alleati porterà esattamente gli stessi risultati delle presidenziali francesi.Senza considerare che ad oggi - a differenza di qualche anno fa - la forbice tra le due coalizioni pende decisamente (oltre 10 punti) a favore del centrosinistra. Con il Terzo polo - in corsa solitaria - all’11%.
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