Indagini lunghe, indagini spigolose, indagini controverse. Indagini che spesso hanno fatto flop. Da Calogero Mannino a Francesco Musotto fino a Saverio Romano, scagionato l'altro ieri dopo nove interminabili anni, la catena degli errori e dei processi finiti in nulla nell'arena di Palermo o nella vicina Caltanissetta è lunghissima. I pm si difendono dicendo che è assai più difficile colpire la mafia dei colletti bianchi, quella che abita il Palazzo, rispetto a quella militare, divisa fra boss e picciotti. Certo, nei tribunali siciliani si continua a riscrivere la storia d'Italia ma spesso le sentenze fanno tabula rasa degli arditi postulati investigativi di pm famosi in tutta Italia.
LE DUE VITE DI ANDREOTTI
Giulio Andreotti sarebbe organico a Cosa nostra. Grappoli di pentiti, tutti svegliatisi negli stessi mesi del '93, confermano. Uno dei più importanti leader italiani viene azzoppato e fermato da un'indagine che raccoglie molte suggestioni e pochi elementi concreti. Ala fine la corte d'appello trova una soluzione salomonica che accontenta tutti: esistono due Andreotti. Il primo, legatissimo alla vecchia mafia dei Bontade e dei Badalamenti, è colpevole, ma la pena viene dichiarata prescritta; il secondo, arcinemico di Cosa nostra, viene assolto. È un mezzo flop, ma Giancarlo Caselli, procuratore di Palermo in quel periodo, considera la conclusione un successo. In aula capita di tutto: si discute perfino, sfiorando le comiche, se un certo giorno il sette volte presidente del consiglio abbia incontrato Michail Gorbacev o Nitto Santapaola, capo delle cosche catanesi.
SOLO FANGO SU MUSOTTO
L'8 novembre 1995 il presidente della provincia di Palermo Francesco Musotto, eletto con Forza Italia, viene arrestato e si dimette. L'accusa è la più impalpabile e insidiosa: concorso esterno. Un reato che nel codice non c'è ma che va per la maggiore nel capoluogo siciliano perché permetterebbe di portare a galla i comportamenti illeciti nella cosiddetta area grigia. Il rischio è naturalmente quello di formulare accuse nouvelle vague, ma il copione si ripete. Ala fine i pm chiedono per Musotto 9 anni e mezzo di carcere. Invece arriva l'assoluzione. Ed è assoluzione anche in appello e in Cassazione.
LA VIA CRUCIS DI MANNINO
Storia sfiancante, con risultati alterni e un finale che fa piazza pulita di tutto. Mannino viene assolto il 14 gennaio 2010, dopo sedici anni di tormenti e 23 mesi di carcere. La procura di Palermo sosteneva che Mannino avesse raggiunto un'intesa con i clan attraverso un mafioso agrigentino, Tony Vella, e esponente della corrente cianciminiana, Gioacchino Pennino. Il primo avviso di garanzia è del 24 febbraio 1994. Segue un'altalena di manette, processi, condanne, assoluzioni, annullamenti fino all'epilogo che gli restituisce, con gravissimo ritardo, l'onore. Per i pm di Palermo è un altro processo eccellente che finisce in nulla.
MORI, ULTIMO E IL COVO DI RIINA
In Sicilia anche la storia dei successi contro Cosa nostra può essere ribaltata e letta con la chiave di violino del sospetto. Capita ad uno dei più brillanti investigatori italiani: il generale dei carabinieri Mario Mori, numero uno del Ros. Il 15 gennaio 1993 i militari catturano il capo dei capi Totò Riina. Un'operazione storica che mette fine a una latitanza che aveva umiliato lo Stato per decenni. Dovrebbero dare una medaglia a Mori e al tenente Sergio De Caprio, meglio noto come Ultimo, una leggenda dell'antimafia italiana. Invece li processano per favoreggiamento di Cosa nostra. La colpa? Un ritardo di diciotto giorni nella perquisizione del covo. Il ritardo non nasconde nessun giallo, ma un pasticcio. L'idea era quella di controllare gli ingressi e le frequentazioni, sfruttando il fattore sorpresa. Solo che, causa una cattiva catena di comunicazione, nessuno tiene d'occhio l'abitazione che viene ripulita in fretta e furia dai mafiosi e poi abbandonata. Per lo stato è una sconfitta dopo una pagina gloriosa, ma da qui a portare alla sbarra la copia Mori-De Caprio ce ne corre. I due uomini in divisa vengono assolti. Cade un altro teorema.
IL DISASTRO SU BORSELLINO
Dopo le stragi del '93 la procura di Caltanissetta si mette all'opera e pare trovare il bandolo giusto. Un picciotto, Vincenzo Scarantino, si autoaccusa di aver rubato la Fiat 126 che sarà poi imbottita di tritolo e fatta esplodere in via D'Amelio. Il pool di Caltanissetta segue una pista che pare sicura ed è confermata da un superpoliziotto come Arnaldo La Barbera che oggi non c'è più. Vengono individuati i presunti esecutori e i processi si concludono con una raffica di condanne all'ergastolo. In realtà il pool si è spaccato. Ilda Boccassini, a quel tempo in Sicilia, è scettica sulla pista Scarantino. A distanza di tanti anni si scopre che aveva ragione: un altro pentito, Giuseppe Spatuzza, racconta la vera storia della Fiat 126. Scarantino si è inventato tutto, le prove erano costruite sulla sabbia anche se avevano retto al giudizio della Cassazione. Il processo dovrà essere rifatto e intanto si prepara la revisione per i disgraziati che sono andati in carcere e presto verranno scagionati. Nei giorni scorsi, Enrico Deaglio firma un libro, Il vile agguato, in cui ricostruisce l'incredibile vicenda, fra errori e depistaggi, e se la prende anche con Antonino Di Matteo che all'epoca lavorò, anche se in posizione defilata per la giovane età, a quell'indagine sbagliata. Per la cronaca Di Matteo è il pm dell'inchiesta sulla trattativa che ha acceso scintille a non finire nelle ultime ore, perché i magistrati hanno intercettato anche la voce del capo dello Stato Giorgio Napolitano.
IL CAVALIERE SANGUINARIO
A Caltanissetta s'indaga anche sul Berlusconi mafioso. Mandante esterno, o qualcosa del genere, delle bombe e del sangue del terribile '93, sempre insieme al fidato e inseparabile Marcello dell'Utri. È il pentito Salvatore Cancemi a dare la preziosa dritta ai pm che ipotizzano un Cavaliere sanguinario: pronto a scendere in campo con Forza Italia e qualche mese prima ad a aprirsi la strada a colpi di tritolo. Strano destino quello del Cavaliere. Lo accusano alternativamente di essere vicino ai boss, addirittura parte di un disegno criminale, contemporaneamente di pagare le tangenti a Cosa nostra, come sarebbe capitato per i magazzini della Standa a Catania. Nel 2002 Caltanissetta archivia. Ora l'ultima puntata: Berlusconi sarebbe sì vittima, ma al posto di Cosa nostra adesso c'è Dell'Utri.
L'ULTIMO FLOP: ROMANO
Nove anni di scavo da parte dei pm, le lacrime in aula per l'assoluzione. Saverio Romano non è mafioso.
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