Il premier Matteo Renzi ha dichiarato nel suo discorso agli industriali che della Tasi ci ha capito poco. Eravamo stati abituati a ministri di sinistra che dicevano che le tasse sono belle, ora abbiamo un capo del governo che dice che sono incomprensibili. Il che corrisponde a verità, in particolare per la Tasi, ma lascia sconcertati perché si tratta di una tassa che lui stesso ha istituito nell'attuale versione, con la legge 2 maggio 2014 n. 68, generando così per i Comuni la possibilità di aumentarne le aliquote. Sempre Renzi, per evitare che prima delle Europee tutti i Comuni facessero pagare la nuova tassa ha dato la scelta di fissare le aliquote in autunno. Ma i Comuni che avevano bisogno di farlo prima, hanno pubblicato le aliquote poco prima del termine del pagamento, creando un ingorgo agli sportelli per versare le somme dovute che ha comportato nuove proroghe parziali a fine giugno. Ci sono, data la fretta, rischi di errori. E sembra che le sanzioni non verranno fatte pagare, per quelli banali. Se il premier che ha combinato questo pasticcio dice di capirci poco, che cosa debbono pensare i contribuenti, che debbono subire un tributo «poco comprensibile»? Anche prima di Renzi la Tasi era difficile da spiegare, salvo come «vendetta politica» contro Berlusconi colpevole di aver condizionato la partecipazione al governo di coalizione con il Pd, presieduto da Enrico Letta, all'abrogazione dell'Imu sulla prima casa, stabilita da Monti con effetti deleteri. Infatti la Tasi, nella versione originaria lettiana era (ed è) una finta tassa dovuta come corrispettivo di servizi dei Comuni. È in realtà una imposta basata sui valori catastali, come l'Imu, senza alcun collegamento con singoli servizi, che cade anche sulle prime case che non pagano l'Imu. Poiché essa può esser dovuta sia dai proprietari sia da chi abita negli immobili, può gravare sugli abitanti delle prime case non in quanto proprietari, ma in quanto inquilini. Un doppione dell'Imu con altro nome, una foglia di fico per coprire la vergogna tributaria di tassare la prima casa, frutto del risparmio delle famiglie, garanzia preziosa in un periodo di redditi incerti e disoccupazione crescente. Difficile da capire in termini di logica fiscale. Ma facilissimo da spiegare se si considera la fame di entrate dei Comuni, in gran parte gestiti dalle sinistre, con la demagogia di far gravare sulle classi medie e medio piccole i costi dei loro apparati para-pubblici e delle loro spese che creano consenso. Così Renzi, che aveva bisogno della base elettorale dei sindaci in questione per vincere le Europee, ha aumentato di 0,8 il limite massimo del tetto alla pressione di Imu più Tasi, portandolo all'11,4 per mille con l'effetto di alzare di 0,8 anche il tetto alla Tasi sull'abitazione principale che ora può essere il 3,3 per mille. Ciò per consentire agli enti locali di ridurre discrezionalmente l'aliquota sulla abitazione principale dei soggetti che lo meritano. Così i sindaci possono spennare meglio la massa elettorale dei piccoli possidenti senza scontentare i propri elettori. Il governo Renzi ha assicurato che l'aumento di aliquote è legato al rispetto del principio di equivalenza, nel senso che per il complesso dei contribuenti prima casa il gettito nel singolo Comune non può superare quello che ci sarebbe stato se a tutte le prime case fosse stata applicata la vecchia Tasi del 2,5 per mille senza detrazioni. Ma per il resto dei contribuenti ora il Comune può accrescere, con rincari selettivi, le sue entrate con aliquote di Imu più Tasi allo 11,4 per mille. Quindi il gettito può aumentare. E nel 2015 il tetto non vale più.
Questo modo di manovrare le imposte e le tasse, con continue novità, creando incertezze e ingorgo fiscale, viola le tre massime di Adam Smith per cui le imposte debbono essere semplici, certe, non costare al contribuente più di quel che incassi l'erario, che arriva oramai al 45% del Pil. Ciò purtroppo, si riesce a capirlo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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