Già quindicimila. E non è finita. Quindicimila firme contro l'esclusione di Berlusconi dalle liste per le elezioni europee. Quindicimila firme di disobbedienza civile. Tutto questo in due giorni. E crescono, di ora in ora. Non è solo un fatto politico. C'è qualcosa di più in questa protesta. È il timore di perdere un punto di riferimento, come se ci fosse un vuoto di democrazia, un'assenza, una mancanza.
Sono quelli che si riconoscono nelle idee di Berlusconi, quelli mai considerati dagli altri leader politici, quelli che qualche volta sono rimasti delusi, ma non hanno trovato nessuno che li rappresentasse. Sono quelli che si svegliano la mattina presto e continuano a cercare di mandare avanti un negozio, una bottega artigiana, una piccola impresa. Sono quelli che la politica non vede e non ascolta. Sono quelli che vedono uno Stato che continua a dispensare privilegi e governi buoni soltanto a tartassare l'impresa e il lavoro. Non sono, come spesso si crede, ammaliati da Berlusconi. Sanno quello che il Cavaliere ha fatto e quello che non ha fatto. Si sono anche guardati intorno per cercare altri leader, altri partiti. Hanno visto sempre le stesse facce. Non si fidano di questa giustizia che appare ai loro occhi non imparziale. Non si sentono sicuri davanti a magistrati che agiscono con alle spalle retropensieri politici. Pensano che la sentenza di condanna contro Berlusconi nasca in una Procura dove si respira un clima torbido, come dimostra la guerriglia tra il capo della Procura e il suo vice. È gente che non ha voglia di seguire l'astro nascente di Renzi e non si riconosce in Alfano.
È da qui che nasce la loro disobbedienza civile. Non è solo per Berlusconi. È per loro stessi. È per non sentirsi invisibili.
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