Cinquant'anni fa, il 27 ottobre 1962, il cielo sopra Milano era sereno e il piccolo Morane-Saulnier aveva già iniziato a scendere verso Linate, quando una bomba chiuse la stagione del presidente dell'Eni e aprì quella dei grandi misteri d'Italia. Cinquant'anni dopo, il Belpaese sta ancora cercando il suo nuovo Enrico Mattei, un uomo che, scriveva Indro Montanelli, «pensava in grande e agiva in grande». Ecco, uno come lui ci servirebbe come il pane. «Oggi il contesto è diverso - spiega l'attuale presidente, Giuseppe Recchi - però resta uguale il compito fondamentale della classe dirigente, cioè favorire la competitività delle aziende». E Paolo Scaroni, amministratore delegato del cane a sei zampe: «Mattei è molto più di un'eredità, è un marchio indelebile. Noi seguiamo la sua strada, abbiamo il mondo come orizzonte e teniamo la testa e il cuore in Italia, dove negli ultimi quattro anni abbiamo investito otto miliardi e assunto 4200 persone».
Cerimonia solenne a Montecitorio, a mezzo secolo dalla morte, come per celebrare un padre della patria. C'è Giorgio Napolitano, ci sono i presidenti delle Camere, c'è Francesco Rosi, che diresse Il caso Mattei. Neri Marcorè legge brani del discorso alla Camera del 1949 e di quello a Gagliano il giorno prima dell'attentato. Gianfranco Fini ricorda la sua importanza nella rinascita industriale. «La figura di Enrico Mattei incarna lo spirito della ricostruzione e di quella straordinaria crescita economica e sociale, quando il nostro Paese entrò nel numero delle maggiori potenze mondiali risollevandosi dalle macerie e dalle distruzioni della guerra. Il miracolo del lavoro, dell'intraprendenza, della ritrovata democrazia». Oggi l'Italia, per liberarsi dai suoi problemi, avrebbe bisogno di una spinta simile. Spiega Recchi: «Servono i valori di Mattei. L'intelligenza nel saper correre dei rischi, la competenza nel gestire risorse e persone, la responsabilità sono imprescindibili per uscire più forti dalla crisi».
Sostenibilità, collaborazione, dialogo, sostiene Scaroni, sono tuttora nel dna dell'Eni, «impresa diversa», sesta al mondo: «Il petrolio è loro, amava dire Mattei nella convinzione che le risorse energetiche appartessero in prima istanza ai Paesi produttori». Fu con lui che «si superò il colonialismo fino ad allora radicato nei contratti con i produttori, inserendo una nuova modalità, il rispetto». E anche oggi, dice l'ad Eni, l'azienda si comporta nello stesso modo: «Ci ricordiamo sempre nei Paesi dove lavoriamo che il petrolio non è il nostro ma il loro. Soltanto in questo modo possiamo evitare presenze invasive o addirittura predatorie».
Cinquant'anni dopo, il cane a sei zampe realizza all'estero la gran parte dei suoi ricavi. «Qualche mese fa in Mozambico - racconta Scaroni - abbiamo fatto la più importante scoperta di idrocarburi della nostra storia. Tuttavia il cervello resta in Italia. Nei prossimi quattro anni faremo investimenti analoghi a quelli degli ultimi quattro. Siamo già impegnati i due attività di riconversione, a Porto Torres per la chimica verde e Porto Marghera per la bioraffinazione». L'Eni vorrebbe investire di più, perchè «l'Italia dal punto di vista degli idrocarburi può dare ancora tanto», ma c'è il muro degli enti locali.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.