Lombardia decisiva Bersani ha paura e si aggrappa a Prodi

Il leader Pd e Vendola a Milano per sbarrare la strada a Maroni. E sul palco dopo quattro anni si rivede il Prof

Lombardia decisiva Bersani ha paura e si aggrappa a Prodi

Milano - La chiamano «liberazione», ma ha più l'aria di un'invasione. Centinaia di bandiere del Pd e di Sel sventolano sulla milanese piazza Duomo colorata di rosso. Giuliano Pisapia, Nichi Vendola, Pierluigi Bersani si succedono sul palco. Obiettivo: sostenere il candidato «civico» Umberto Ambrosoli che punta a diventare presidente della Regione Lombardia.

E soprattutto combattere il nemico Roberto Maroni, che ancora una volta si becca una lunga serie di contumelie. La più pesante è «barbaro trafficante», lui come tutti i leghisti. Il copyright è di Vendola e Maroni ha già promesso di rivolgersi ai legali. La più originale «terrone», anzi «terone» nella pronuncia romagnola di Bersani: «I finlandesi pensano che qui siamo tutti col mandolino, anche a Milano. Per loro Maroni è un terone».
Per l'occasione riemerge dalla naftalina Romano Prodi, che non si vedeva da secoli, da quando era stato archiviato come un vecchio travestimento cattolico ormai inutile. «Sono sul palco dopo quattro anni perché ne valeva la pena...» dice lui, arrivato per rassicurare gli elettori di centrosinistra che potrebbero anche spaventarsi di fronte all'avanzata di una coalizione dall'aspetto e dal contenuto così radicali.
Un fronte popolare di sinistra che più sinistra non si può. «Questa volta il 25 aprile arriva tra una settimana» proclama Ambrosoli. «Abbiamo cambiato Milano e cambieremo anche la Lombardia. Questa volta ce la facciamo, ce la faremo, ce la dobbiamo fare» dice il sindaco di Milano. «Non sarò un elemento di disturbo, ma sarò garanzia di governo e stabilità» assicura Vendola.

Bersani smette i panni moderati per palleggiare con Nichi. Nella Milano di Pisapia prende le distanze anche da Mario Monti e lo colloca ai primi posti nella hit parade delle sparate elettorali (il primato, neanche a dirlo, è del solito Maroni). Rivendica la nuova foto di Vasto, con la sinistra stretta in un abbraccio: «Non ho ancora visto la foto con Berlusconi, Maroni e Storace. Nemmeno la foto con Monti, Fini e Casini. La nostra coalizione sarà forte e coesa, le loro si sbricioleranno». Cerca consensi. Parla di «una grande stagione sui diritti e sulla moralità». E nell'elenco delle priorità inserisce «i diritti delle coppie omosessuali ad avere le unioni civili».

Fra tacchini e giaguari, Bersani somiglia sempre di più all'imitazione di Crozza. Ma non demorde. «Ancora sette giorni e lo smacchiamo il giaguaro. Poi posso anche prendere in braccio il giaguaro ma preferisco il tacchino...» arringa dal palco di piazza Duomo. Poco prima era stato il redivivo Romano Prodi a scomodare belve e animali da cortile. «I miei amici africani mi chiedono sempre perché ce l'ha tanto con il giaguaro e io rispondo: anche coi tacchini». Difficile seguirli fino in fondo.
E poi c'è Ambrosoli, che si paragona a Mosè.

«Quando si accingeva ad attraversare le acque aveva una speranza piena di certezza. Credeva nel miracolo. La mia speranza oggi è quella certezza». Poi cita don Milani: «Non ha senso avere le mani pulite per averle tenute sempre in tasca...». Si attendono esegesi bibliche.

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