Lucio fa ritrovare la voce ai politici

Lucio fa ritrovare la voce ai politici

di «Lucio. Anni di amicizia. E valanghe di ricordi. Non è giusto, no». Chi l’ha scritto? Un compagno di scuola di Dalla, un cantautore, il barista di fiducia? No: Walter Veltroni. L’ex segretario del Pd, protagonista in questi giorni di un furioso corpo a corpo con Nichi Vendola su che cosa significhi essere di sinistra, ha twittato al mondo il suo dolore con parole che paiono uscite dal diario di un adolescente.
Appena meno sentimentale, ma ancor più retorico, il saluto a Dalla del suo antagonista del momento, il governatore rivoluzionario delle Puglie: «Un amico caro, un amico della Puglia e dei pugliesi», scrive Vendola: come se il cantautore bolognese avesse passato la vita a cantare le gioie dei trulli e delle orecchiette. E poi conclude, secondo un’antica tradizione comunista: «Rimarrà nei nostri cuori». Purtroppo abbiamo perso per sempre Lucio Dalla, ma in compenso abbiamo scoperto a che servono i politici nella Terza repubblica dei tecnici: a commemorare i cantautori. Dopo mesi di letargo, ieri sono improvvisamente usciti allo scoperto tutti quanti, inondando il web e le agenzie di stampa di dichiarazioni più o meno commosse, più o meno insipienti, più o meno retoriche.
C’è qualcosa di surreale in tutto ciò: l’Italia è nel mezzo di una crisi senza precedenti, il governo ha varato interventi e riforme destinate nel bene e nel male a cambiare il volto del Paese, la disoccupazione e la povertà crescono secondo tutte le statistiche, non sappiamo se e quando usciremo dall’emergenza, la Val di Susa somiglia ogni giorno di più alla Striscia di Gaza, e i nostri politici tacciono imbarazzati, non sanno che dire, preferiscono non prendere posizione - forse anche perché la gente, dopo vent’anni di risse e di insulti, non riesce più a sopportarli. Ma la sfortunata morte di Dalla sembra loro offrire finalmente un’occasione, un varco, un pretesto per tornare sulla scena e strappare un mesto applauso al pubblico sempre più svogliato.
Nell’elenco dei necrologi non manca nessuno, e ciascuno ne approfitta per dire la sua. La Grande coalizione che nessuno pubblicamente osa dichiarare supera brillantemente anche questa prova di retorica, e i tre dell’Abc fanno a gara nella commemorazione con toni lirico-adolescenziali. Angelino Alfano si dichiara «dispiaciutissimo per la scomparsa di un vero grande» («dispiaciuto» dev’essergli sembrato troppo poco); per Pierluigi Bersani «scompare un poeta e uno straordinario innovatore. Nelle sue cose migliori ha saputo dare una grande profondità a quello che, forse troppo sbrigativamente, chiamiamo musica leggera» (dovremmo forse chiamarla «musica profonda»?); e Pierferdinando Casini confessa: «Sono sconvolto per la morte di Lucio Dalla: amico che ha fatto sognare intere generazioni. Prego per lui perché so che ci ha sempre creduto» (le preghiere, dunque, bisogna meritarsele).
Curioso il confronto fra i presidenti di Camera e Senato: Renato Schifani, nella parte del professore, consegna alle agenzie un breve saggio sulle qualità musicali, politiche, sociali, letterarie e poetiche di Dalla; Gianfranco Fini, nella parte dello studente brufoloso, affida a Twitter un semplice «Ciao», linkando il video della canzone.
Intendiamoci: la scomparsa di un artista è sempre un lutto nazionale, e non si può certo incolpare i politici di ascoltare, come tutti noi, le canzoni alla radio. Ma non sempre è necessario intervenire, dichiarare, sgomitare. Soprattutto quando si è pagati per fare altro.

Se proprio amano la musica, i nostri politici potrebbero prendere esempio da Francesco De Gregori, che ha affidato al suo ufficio stampa una dichiarazione di una riga: «Questo è un momento tristissimo e non mi sento di parlare con nessuno».

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