La battaglia per il salvataggio di Fondiaria Sai entra nel vivo. Sul tavolo, per salvare la compagnia, ci sono i piani di Mediobanca con Unipol e la coppia Sator-Palladio. La questione è delicata perché stiamo parlando di una delle perle finanziarie e di potere di questo Paese: Fonsai è la seconda compagnia italiana alle spalle di Generali, ed è il primo operatore nel ramo della Rc auto. Ma cè di più: la società custodisce in portafoglio alcune partecipazioni strategiche per gli equilibri tra poteri forti. A cominciare da quel 5,4% del Corriere della Sera. Poi cè il 3,8% di Mediobanca, il 4,4% di Pirelli, l1,1% delle Generali e ancora una partecipazione dello 0,35% in Unicredit. Il 50% dellintero portafoglio azionario del gruppo è investito in sole sei società italiane.
A capo della compagnia, tramite unintricata catena di holding, con alcune con sedi Lussemburgo, cè la famiglia Ligresti, che controlla, tramite Premafin, il 35,7% del gruppo assicurativo, a sua volta proprietario del 63,4% i Milano Assicurazioni. Nel dicembre 2002 i Ligresti sono diventati i primi azionisti della compagnia dopo che la loro Sai ha acquistato dalla Montedison e poi fuso Fondiaria sotto la regia di Mediobanca.
Il primo amore di Salvatore Ligresti è sempre stato il settore immobiliare. Eredità ancora molto presente nei conti di Fonsai: ben 3,7 miliardi sono investiti nel «real estate», pari al 14% del totale degli investimenti. I conti della società, con un portafoglio molto esposto al sistema finanziario e immobiliare italiano e una gestione non sempre trasparente, sono saltati con la crisi: lo scorso anno a giugno Fonsai e Milano Assicurazioni hanno dovuto varare un aumento di 800 milioni. Ma dopo pochi mesi quella cifra si è rivelata del tutto insufficiente a mettere al riparo i conti. La crisi è diventata conclamata a inizio 2012, con la richieste dellIsvap, lAuthority assicurativa, e della Consob di correre ai ripari. Dopo due esercizi in profondo rosso, con perdite per oltre 1,5 miliardi nel periodo 2010-2011, la compagnia rischiava di non avere più le risorse sufficienti per assolvere gli impegni con gli assicurati in caso di rimborso danni o riscatti. Tecnicamente tale capacità si misura con il «margine di solvibilità». Ebbene, per Fonsai, tale margine è sceso al 78% quando lIsvap richiede almeno la quota del 120%.
Oltre agli assicurati, a rischiare per il crac della compagnia sono anche le banche esposte. Mediobanca vanta un prestito subordinato da 1 miliardo. A seguire cè Unicredit che, dopo aver partecipato al primo aumento di capitale con 170 milioni, ora ha una partecipazione del 6,6% nella compagnia assicurativa e unesposizione nellordine dei 300 milioni con la Premafin.
Per salvare la sua esposizione, lad di Mediobanca Alberto Nagel ha messo a punto un piano che prevede lintervento di Unipol, compagnia assicurativa controllata dalle coop e guidata da Carlo Cimbri, che richiede un primo aumento da 1,1 miliardi; poi lingresso di questa in Premafin tramite il versamento di 400 milioni; e infine un aumento di capitale da 1,1 miliardo in Fonsai. Loperazione si concluderebbe con una fusione di quattro società: Premafin, Fonsai, Milano e Unipol. Ma una delle condizioni chieste alla Consob è di derogare allobbligo del lancio di unOpa.
A mettere il bastone fra le ruote a Mediobanca si è mosso il private equity: Matteo Arpe con il fondo Sator, salito al 3% di Fonsai, e Roberto Meneguzzo con Palladio (5%). Il piano è quello di iniettare 400 milioni di euro in Premafin più altri 100 per ripagare lesposizione delle banche. Poi di lanciare un aumento di capitale in Fonsai da 1,1 miliardo e di fare una fusione a tre, senza Premafin.
Ma questo piano non è stato ufficialmente presentato alle società, che stanno già trattando in esclusiva con Mediobanca. E per questo motivo Arpe e Meneguzzo stanno dando battaglia in tutti i modi possibili. E da ieri, si sono aggiunti anche i fari della procura milanese. Per questo la partita è più aperta che mai.
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