A trovarlo non hanno penato tanta fatica. Incredibilmente, è sull'elenco del telefono: nome, indirizzo e il numero di telefono dell'uomo che per i mass media è il custode di molti segreti di Silvio Berlusconi. Telefonando, risponde la segreteria telefonica con la voce di Anna, la moglie del ragioniere, che anziana e soave recita: «Risponde la segreteria telefonica della famiglia Spinelli, se volete essere richiamati lasciate un messaggio».
Basta questo per fugare le tante ombre che avvolgono il sequestro lampo di quest'uomo minuto e meticoloso che da trentacinque anni accompagna in silenzio l'ascesa del Cavaliere? No, purtroppo. Perché Giuseppe Spinelli sarà anche sull'elenco del telefono di Bresso. Ma è ben difficile immaginare che siano state le pagine bianche a guidare la composita banda di mezze tacche fino alla soglia di casa Spinelli, e a lanciare la loro astronomica pretesa di riscatto. «C'è dell'altro, qualcosa di importante deve ancora succedere», si dice ieri nell'entourage del Cavaliere. Un livello superiore che potrebbe avere guidato la banda.
Nel frattempo, e in attesa degli interrogatori dei sei arrestati fissati per domani, resta una dolorosa certezza: ad andarci di mezzo, vivendo ore terribili insieme alla propria moglie, è un uomo che alle vicende giudiziarie del Cavaliere ha già pagato il suo tributo di sonni perduti. Era la metà degli anni Novanta quando la Procura di Milano scoprì per la prima volta dell'esistenza di Spinelli: si scavava sui falsi in bilancio della Fininvest, e su 91 miliardi usciti in contanti da una banca di San Marino, e si scoprì che i soldi venivano consegnati in contanti a lui, il ragioniere con studio a Milano Due, il quartiere simbolo dell'epopea berlusconiana. «Amministratore del patrimonio personale di Berlusconi» viene definito Spinelli nel primo avviso di garanzia. E il ragioniere da allora incarna, suo malgrado, un ruolo che gronda di citazioni letterarie e cinematografiche: quello del contabile preciso e silenzioso, del custode fedele dei segreti del Grande Capo. Del grigio omino che però ha visto nascere le innumerevoli finanziarie Fininvest, e ha visto da vicino la trasformazione di un costruttore visionario nel presidente del Consiglio.
La realtà, ha sempre spiegato Spinelli, è assai più semplice: «Eseguivo le disposizioni del Dottore» (come solo la cerchia più stretta chiama Berlusconi). Lo ha ripetuto anche nell'ultima occasione, quando la sorte gli ha riservato l'ultimo tiro (che però, come si è visto, era in realtà il penultimo) catapultandolo sul palcoscenico del Rubygate. Tra le tante incombenze portate dalla gestione della cassa personale del suo principale, Spinelli aveva e ha tuttora anche quella di tradurre in contanti la prodigalità quasi compulsiva di Berlusconi. Quando si scoprì la faccenda degli appartamenti, delle bollette, dei soldi in contanti dispensati a Ruby e alle altre bellezze delle feste di Arcore, Ilda Boccassini soppesò a lungo se incriminare anche lui. Poi lo graziò. Ma in cambio a Spinelli fu imposta quella che per lui fu sofferenza allo stato puro: la sedia davanti ai giudici, le telecamere, l'inseguimento dei taccuini sui marciapiedi.
In aula, l'interrogatorio di Spinelli fu tra Moliére e Fantozzi. «Io sono solo un esecutore. Faccio quello che mi chiedono di fare». E di fronte allo stupore per la quantità di contanti portata ad Arcore, venti milioni in qualche anno, rispose serafico: «Erano buste per i bisognosi.
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