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"Macché comprati". Razzi e Scilipoti scagionati dai pm

La Procura di Roma chiede l'archiviazione per i senatori che lasciarono Idv salvando il Cav: nessun passaggio di denaro, scelta politica insindacabile

"Macché comprati". Razzi e Scilipoti scagionati dai pm

Roma - Il «cambio di casacca» di Scilipoti e Razzi sarebbe stato dettato da ragioni di natura politica e personale. La Procura di Roma ieri ha chiesto l'archiviazione del fascicolo aperto nei mesi scorsi a carico di ignoti per istigazione alla corruzione dopo un esposto di Antonio Di Pietro.
Secondo il pm Alberto Pioletti e l'aggiunto Francesco Caporale non ci sarebbero prove concrete che i due politici lasciarono l'Italia dei Valori in cambio di soldi o altri favori alla vigilia del voto di fiducia fondamentale per la sopravvivenza del governo Berlusconi, alle prese allora con la crisi scatenata nella coalizione di centrodestra dalla rottura tra il leader Pdl e Gianfranco Fini.

In mancanza di concreto passaggio di denaro, i magistrati hanno fatto notare che non è possibile valutare l'ipotesi di istigazione alla corruzione. Scilipoti e Razzi, rieletti come senatori lo scorso 25 febbraio in quota Pdl, erano stati ascoltati personalmente dai pm titolari dell'inchiesta nel giugno scorso, come persone informate sui fatti. A chi indaga avevano raccontato che la decisione di cambiare partito era maturata per ragioni strettamente politiche, lasciando intendere rapporti tesi con il leader dell'Idv. Tra l'altro, secondo i pm, in base all'articolo 67 della Costituzione, la scelta dei due senatori di abbandonare il partito non è sindacabile, poiché un eletto alla Camera o al Senato non ha alcun vincolo di mandato. «Sono sempre stato fiducioso», commenta Scilipoti: «Sentivo che la verità sarebbe venuta fuori. Il prezzo più alto l'ha pagato la mia famiglia».

La richiesta di archiviazione della procura di Roma sul caso Razzi-Scilipoti è la mazzata definitiva sul teorema della «compravendita» di parlamentari da parte del Cav. E manda un segnale indiretto anche alla procura di Napoli, dove è invece ancora in piedi l'inchiesta per corruzione relativa al presunto «acquisto» - nel 2006 - dell'ex senatore Sergio De Gregorio (imputato assieme a Berlusconi e all'ex direttore dell'Avanti Valter Lavitola), che sostiene di aver incassato soldi dal Pdl e dallo stesso Lavitola per cambiare schieramento. E ieri De Gregorio ha puntato ancora il dito contro il leader del Pdl. L'ex senatore è stato sentito per quattro ore come testimone anche per un'altra vicenda dai pm De Pasquale e Spadaro. Le presunte pressioni - riportate in un suo libro - sulla Cina da parte dell'ex premier per bloccare la rogatoria a Hong Kong dei pm milanesi che indagavano sui presunti fondi neri Mediaset. In realtà le carte chieste dai magistrati ai colleghi d'oltreoceano sono arrivate da qualche giorno in Procura a Milano. La notizia, anticipata dal Fatto Quotidiano, è stata confermata ieri anche da ambienti giudiziari. I pm, però, non hanno ancora visionato il contenuto delle centinaia di pagine relative a società di Frank Agrama a Hong Kong.

Nelle prossime udienze del processo Mediatrade, che vede tra gli imputati l'imprenditore egiziano, nonchè Fedele Confalonieri e Pier Silvio Berlusconi, potrebbe essere depositato e quindi reso pubblico l'esito della rogatoria.

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