La macchina dell'incenso che santifica le toghe

Non si accontentano di avere vinto per uno a zero: vogliono la goleada, sognano un metafori­co (o reale?) piazzale Loreto.

La macchina dell'incenso che santifica le toghe

Quelli del Pd non hanno neanche il buon gusto di dissimulare la soddisfazione: i loro occhi brillano, le loro dichiarazio­ni tradiscono felicità. Già, il momento atteso vent’anni è giunto:eliminare Silvio Berlu­sconi dal novero degli avversari, cancellare il suo nome dalle liste elettorali e dall’elenco dei sena­tori. Figuriamoci se sono disposti a farsi sfuggire la ghiotta occasione. Basta leggere Repubblica, la sacra scrittura dei «cumunisti» e affini, per ca­pire le intenzioni del partito che, sia pure con grande ritardo, ha dato vita a un compromesso storico in sedicesimo: più che altro un aborto di ciò che aveva concepito Enrico Berlinguer allo scopo di impadronirsi del Paese. Ogni articolo di quel giornale è improntato a spirito di vendetta: il Cavaliere deve morire, almeno politicamente, visto che purtroppo gode di buona salute.
Nonostante la pesante condanna inflitta dalla Cassazione al leader del centrodestra, gli scribi del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, aspi­rante senatore a vita, non sono del tutto appaga­ti. Non si accontentano di avere vinto per uno a zero: vogliono la goleada, sognano un metafori­co (o reale?) piazzale Loreto. Pregustano l’ecci­dio, la disfatta dei berluscones, tranne quelli eventualmente pronti a salire sul carro di Enrico Letta in cambio di un lecca-lecca.
Per fare sloggiare Silvio da Palazzo Madama, i progressisti useranno ogni arma, come ripete in­stancabilmente radio fante: quella del voto ostile, anzitutto. Non impor­ta che la legge anticorruzione, scritta dal ministro Severino nella scorsa legislatu­ra e approvata dalle Camere, sia tutta da interpretare essendo ancora in rodag­gio: è retroattiva, quindi applicabile an­che al caso del Cavaliere, oppure no? Sul punto i costituzionalisti litigano; i demo­crat, invece, sono concordi: vale anche per lui, impalliniamolo; e mettiamoci una pietra sopra. Sembra di essere al mercato, altro che Parlamento.

L’euforia del Pd, che sente avvicinarsi il momento di liberarsi del concorrente più pericoloso, il capo del Pdl, contrasta però con la preoccupazione del premier di perdere l’appoggio del centrodestra e, quindi, la cadrega a Palazzo Chigi. Ec­co perché Letta non si espone circa i de­stini di Berlusconi nelle mani dei compa­gni. Probabilmente preferirebbe che i tempi delle decisioni si allungassero. Come? Passando la pratica alla Consul­ta che nel lavoro è lenta per definizione: nove o dieci mesi prima di rispondere al quesito riguardante l’applicazione re­troattiva della legge Severino, giusto quanto serve per arrivare alla prossima primavera quando toccherà all’Italia la presidenza europea.
Piaccia o no,questa è l’alchimia politi­ca, immutabile nei secoli. Tornando al­le mosche cocchiere della Repubblica , segnaliamo un mirabile pezzo di Liana Milella che recita il solito rosario con la tipica tenacia degli integralisti. Udite: «Ancora una volta il Giornale , quello del­la­macchina del fango ai danni del giudi­ce Antonio Esposito e delle toghe di Ma­gistratura democratica, fa da apripista. Un’intervista a tutta pagina con foto di Nicolò Zanon, noto giurista, componen­te laico del Csm in quota Pdl, consiglia come indispensabile la strada della Cor­te ».


Avete letto con attenzione? A parte che il Giornale non ha fatto un’intervista con una foto di Zanon, semmai con Za­non (le istantanee non fiatano), a parte ciò, una sciocchezza, la signora Milella dovrebbe spiegarci perché insiste con la macchina del fango, nel quale ella sguaz­za voluttuosamente. E, non paga di lor­darsi fino al collo, si trasforma in turibo­lo a ore per incensare gratuitamente ma­gistrati di cui ignora le opere. Lo fa per passione. Che tristezza.

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