Milano Una sentenza decisa prima ancora che il processo finisse, da un «tribunale che confonde i sospetti con le prove» e che fin dall'inizio ha sposato le tesi dell'accusa, fino ad emettere una sentenza di condanna figlia di una visione ideologica dell'impresa e del diritto: «È evidente che il tribunale non apprezza la visione imprenditoriale preferendo verosimilmente un sistema di tipo collettivistico su base etica. E la condanna a 4 anni nei confronti di Silvio Berlusconi, e di ciò che rappresenta, risente certamente di tale impostazione culturale». In sostanza, i giudici di primo grado vengono tacciati di totale subalternità al pm Fabio De Pasquale: «È ben vero che è difficile dare torto alla Procura di Milano ma in questo caso non era facile dargli ragione».
È il ricorso depositato ieri da Niccolò Ghedini e Piero Longo, legali del Cavaliere, contro la sentenza che il 26 ottobre scorso ha riconosciuto l'ex presidente del Consiglio colpevole di frode fiscale per la vicenda dei diritti dei film americani da trasmettere in tv, comprati da Mediaset - secondo la Procura di Milano - a prezzi gonfiati, svuotando i bilanci e imbrogliando il fisco. Il ponderoso ricorso in appello (550 pagine) è stato stilato da Ghedini e Longo a tempi di record, perché i termini scadevano oggi: i giudici, infatti, hanno letto contemporaneamente la sentenza e le sue motivazioni, accorciando i tempi d'appello. Obiettivo: consentire che si arrivi alla sentenza definitiva prima della prescrizione dei reati, fissata per il prossimo inverno. Per Berlusconi sarebbe la fine della vita politica, perché gli sono stati inflitti anche cinque anni di interdizione dai pubblici uffici.
LA SENTENZA PRECOTTA
Analizzando il testo delle motivazioni, i difensori affermano che è chiaro che «il Tribunale da molto tempo avesse assunto la decisione di condannare gli imputati ben prima della conclusione della istruttoria dibattimentale e ciò lascia non poco amareggiati». Infatti a pagina 3 la sentenza parla di una «evasione notevolissima» anche per l'anno 2000, che invece lo stesso tribunale ha dichiarato prescritto durante il processo, «in data 21 gennaio 2008». «Non potendo trattarsi di un refuso si comprende che questa prima parte sembra essere stata già scritta prima del 21 gennaio 2008».
I TESTIMONI CANCELLATI
Scrivono i difensori dell'ex premier: «L'evidenza del pregiudizio si è ancor più appalesata quando sono stati drasticamente eliminati sostanzialmente tutti i testimoni della difesa. Il giudicante ha ascoltato le prove dell'accusa e ha negletto quelle della difesa».
«AGRAMA SOCIO OCCULTO? NO»
Il ricorso contesta l'assunto-base della sentenza, secondo cui Berlusconi era socio occulto del mediatore di diritti Frank Agrama, e spartiva con lui la «cresta» sui diritti: «Per vendere i suoi diritti di programmi televisivi a Mediaset, Agrama pagò svariati milioni di dollari ai responsabili dell'ufficio acquisti della stessa Mediaset. E allora se Berlusconi fosse stato socio di Agrama sarebbe bastata una sua telefonata ai responsabili di Mediaset per determinare l'acquisto dei diritti da Agrama senza bisogno di alcuna tangente. Ma soprattutto, se fosse stato socio occulto di Agrama, sarebbe immediatamente venuto a conoscenza del pagamento di una tangente ai responsabili dell'ufficio acquisti di Mediaset e non avrebbe che potuto provvedere all'immediato loro licenziamento».
NON ERA SILVIO A DECIDERE
E se irregolarità fiscali vi sono state, dicono i difensori, è impensabile attribuirne la responsabilità a Berlusconi, da tempo impegnato solo in politica. Il dirigente che ha firmato le dichiarazioni dei redditi incriminate ha testimoniato che «era lui che decideva i piani di ammortamento e non ne parlava con nessuno. Quindi non vi era alcuna possibilità per Silvio Berlusconi di intervenire in merito».
I TRUST DEI FIGLI
Secondo l'accusa, i fondi neri sarebbero approdati su fondi off-shore intestati ai figli maggiori di Berlusconi e controllati da quest'ultimo: ma «i trust, come risulta da tutti i documenti sono riferibili a Marina e Pier Silvio Berlusconi e non sono mai stati operativi».
«IL CAVALIERE E' INCENSURATO»
Nell'ultimo paragrafo, il ricorso impugna la pesante quantificazione della pena e il rifiuto
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