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Monti, "re" delle tasse, ora attacca la flat tax

Monti critica gli effetti della flat tax sull'equità ma "dimentica" la sua manovra

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Mario Monti non è soddisfatto delle proposte fiscali del governo di Giorgia Meloni in materia di tasse. Secondo l'ex presidente del Consiglio e (da poco) della Bocconi, infatti, la proposta di estensione della flat tax dell'esecutivo impone l'emersione di minacce al welfare.

"Si nota un convinto desiderio di ridurre la progressività a favore di tutto ciò che è piatto", scrive Monti in una lettera aperta a Giorgia Meloni pubblicato da La Stampa. "Non si è però casuali nella distribuzione del piatto e del non piatto, perché questo ha un notevole impatto differenziale a seconda che si tratti di lavoratori dipendenti o autonomi o altre categorie", aggiunge.

Per Monti la gestione del welfare, se le riforme prospettate da Meloni fossero ampliate "potrebbe presentare seri problemi, sia da un punto di vista di equità nella distribuzione del reddito, sia per la materia sulla quale esercitare in futuro scelte di adeguamento della distribuzione". Dette da Monti queste parole, va detto, destano abbastanza scalpore. L'economista ed ex premier, infatti, da capo del governo ben poco ha tenuto alla distribuzione delle risorse e sicuramente ancora meno alla stabilità di lavoratori dipendenti a regime Irpef. La riforma Fornero, ad esempio, ha penalizzato profondamente lavoratori dipendenti di ieri e di oggi con la restrizione delle maglie sulle pensioni. L'aumento delle aliquote Iva del 2% ha colpito profondamente i consumi in forma ineguale, danneggiando maggiormente i redditi inferiori. L'aumento dell’addizionale regionale all’Irpef, che passò nel 2012 dallo 0,9% all’1.23%, fu una delle tante microtasse analogamente regressive. L'aliquota massimale Irpef fu portata dal 43 al 46% e, nel Decreto Salva Italia, fu reintrodotta la tassa sulla prima casa. Complessivamente, su 30 miliardi di euro di valore delle misure decise da Monti, 17 furono finanziate da extra-gettito e solo 10 furono orientate alla crescita.

Dunque Monti in termini di equità difficilmente può dare lezioni politiche al governo Meloni, in quanto "re" delle tasse: e va detto, come ripetuto più volte su queste colonne, che la flat tax sulle partite Iva è solo una delle tante tasse piatte esistenti nel panorama italiano. Del resto, confrontare lavoratori dipendenti e partite Iva, per le differenze in termini di certezze di incasso degli stipendi, tutele e benefit, rischia di essere problematico.

Per Monti la modifica delle imposte del governo Meloni "può determinare a lungo andare una carenza nella materia imponibile e nell'imposta" stessa. Ma premiando la crescita e i ceti medi l'impostazione della Legge di Bilancio, oltre a essere prettamente politica, è tale da andare in controtendenza rispetto all'austerità montiana che sulla domanda interna e la disuguaglianza ha avuto gli effetti che tristemente conosciamo.

Non è la prima volta che Monti mette le sue ricette davanti a quelle dei governi italiani: gli attacchi alla flat tax di Giorgia Meloni arrivano sei mesi dopo le richieste del governo Draghi di maggiore flessibilità e di un'applicazione graduale del ritorno delle regole europee. In un'intervista al Corriere della Sera Monti definì "accattonaggio" il fatto che "componenti importanti della politica italiana siano contrarie al fatto stesso che tornino regole europee, sia pure emendate" paragonabili a quelle con cui legittimò la sua austerità. Allora come oggi la questione reale sulla pericolosità del ritorno alla stagione di cui fu interprete, quella del rigore, è dribblata da Monti. Che dimostra, una volta di più, di avere la memoria corta sugli effetti delle sue stesse misure.

E soprattutto sui danni inflitti alla classe media italiana dalla sua austerità.

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