Mora smagrito in aula smonta il bunga bunga «Solo una barzelletta»

Mora smagrito in aula smonta il bunga bunga «Solo una barzelletta»

MilanoMa quale bunga bunga, il bunga bunga era una barzelletta. Io ad Arcore non ho mai visto nessuna ragazza spogliarsi». Smagrito nel fisico e nel morale, e con una voglia disperata di tenersi fuori dai guai: l'imputato Lele Mora appare per la prima volta ieri nell'aula del processo per il Rubygate, per far vedere ai giornalisti e soprattutto ai giudici che il carcere lo ha cambiato; di essere, cioè, un uomo assai diverso da quello che si faceva massaggiare dai tronisti in Costa Smeralda. Grigio, barba lunga, e il gigantesco crocifisso di un rosario appeso al collo, Mora sembra voler interpretare con convinzione il suo ruolo di volontario nella comunità di don Mazzi, dove ha chiesto di essere affidato per scontare la condanna per la bancarotta della sua agenzia.
Ma l'ex signore dei divi e dei divani sa che intanto pende sulla sua testa quest'altra rogna che è il processo Ruby, dove è accusato insieme ad Emilio Fede e Nicole Minetti di avere indotto alla prostituzione le fanciulle invitate ad Arcore. Se dovesse venire condannato anche qui, rischierebbe di saltare anche l'affidamento alla comunità. Ed è qui che si presenta ai giudici per mostrarsi in tutta la sua nuova luce. «In carcere sono cambiato molto, ho sofferto molto e mi dispiace per la mia famiglia. Da questo procedimento mi aspetto di essere assolto».
Ma il nuovo look penitenziale non impedisce che si continuino a cogliere i segnali della situazione non facile che vivono i rapporti tra i tre imputati di questo processo. «Io, Fede e la Minetti siamo come i capponi di Renzo», aveva detto Mora poco prima di finire in carcere e restarci un paio di mesi. E la situazione non è mutata: ognuno degli imputati sembra andare per la sua strada. Lele Mora ed Emilio Fede praticamente non si parlano più, non tanto per la faccenda dei soldi prestati da Berlusconi a Mora e incamerati in buona parte da Fede, ma soprattutto per una dichiarazione dell'ex direttore del Tg4 che rifilava a Mora la colpa di avere portato ad Arcore «Ruby Rubacuori», ovvero Kharima el Mahroug. Ieri Fede in aula non c'era, ma Mora - nelle dichiarazioni alle tv ad udienza finita - gli manda a dire «che non sia più direttore del Tg4, data l'età, è normale». La Minetti invece in aula c'è, sta seduta ad un metro da Mora ma non si parlano e nemmeno si salutano: «Non è che sia mia amica: è una ragazza che conosco», dice Mora a fine udienza. Insomma, il clima è un po' quello dell'«ognuno per sé». E ad uscirne avvantaggiata potrebbe esserne alla fine la Procura.
Nel frattempo, continua la sfilata dei testimoni dell'accusa, tra cui il brigadiere dei carabinieri Luigi Sorrentino, già capo della scorta di Emilio Fede: che dice di avere accompagnato più volte il giornalista alle feste di Arcore in compagnia di fanciulle belle e giovani, e di avere visto una volta, attraverso le vetrate della villa, due ragazze in baby doll rosso.
Sorrentino racconta di essere stato allontanato dalla scorta di Fede su richiesta dell'allora direttore del Tg4, in seguito a un alterco: «Fede era andato al ristorante in compagnia di due ragazze straniere, noi rimanemmo fuori per ore e ci riparammo in auto perché pioveva e faceva freddo.

Quando Fede uscì, prima di entrare in casa con le ragazze, disse: ecco, vedete i carabinieri come mi proteggono». Fede ieri reagisce accusando Sorrentino di averlo spiato: «Era un carabiniere o uno 007 al servizio di chissà chi?»

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