Il muezzin urla troppo e il giudice lo "silenzia"

Un artigiano, dirimpettaio del Centro islamico, ricorre alla magistratura per l'alto volume del richiamo alla preghiera per Allah. E vince la causa

Il muezzin urla troppo e il giudice lo "silenzia"

Quell'adhan notturno e straniero che sveglia ancora prima del più nostrano canto delle galline non gli è mai andato giù. La religione in fondo, non c'entra. Questa è solo una questione di veglia e riposo. Così un artigiano di Parma è riuscito a far abbassare i toni al muezzin «padano» che nel richiamo alla preghiera che precede l'alba gli tormentava, a suo dire, la fase rem del sonno. Cesare Piazza, 45 anni, ha casa e capannoni in via Campanini, a pochi passi dalla tangenziale, e ha sempre mal sopportato l'insediamento della comunità islamica che, ormai da tempo, ha riadattato un edificio industriale a centro islamico ed anche a luogo di culto. Per mesi ha registrato il muezzin e in casa ha collezionato mucchi di videocassette, un corano sul comò e un paio di vittorie già archiviate come quella contro i tappetini di nylon, e dunque infiammabili, che è riuscito a far sparire, anni fa, dalla moschea sua dirimpettaia. Settimana scorsa la sezione civile del Tribunale di Parma gli ha dato di nuovo ragione.
In questa zona, a est di Parma fuori dal centro, non lontano sorgono il carcere che ospita anche Bernardo Provenzano, l'inceneritore tanto contestato dai grillini, Ikea e Barilla. Ma la tolleranza al rumore non passa di qui e soprattutto dai decibel con cui il muezzin attacca la sua chiamata. Insomma quell' Allah u' Akhbar suona perfino più indigesto degli acuti di Vasco Rossi al Meazza più volte stigmatizzati dagli abitanti del quartiere di San Siro di Milano. Piazza, ex meccanico che ora affitta i suoi capannoni, quella mezza luna come dirimpettaia non l'ha mai digerita e si è scagliato non solo contro il rumore notturno, ma ha chiesto che ognuno dei cinque richiami quotidiani alla preghiera - uno dei pilastri dell'Islam - fosse silenziato, aggiungendo anche che oltre al rumore, la convivenza ravvicinata con la comunità islamica andasse a ledere la sua libertà di culto. Su questo punto il giudice ha però rigettato le istanze, limitandosi ad imporre il rispetto dei 60 decibel al richiamo notturno. Di giorno, infatti, la zona artigianale ha una variegata colonna sonora, date le molte attività del territorio. Ma la notte no. Ora la comunità islamica ha due mesi di tempo per cambiare gli amplificatori e scendere di 2 decibel entro la soglia di legge. La relazione del perito ha anche stabilito una revisione dei serramenti per evitare la dispersione sonora con un intervento complessivo di circa 15 mila euro. La sentenza appare «storica» dato che gli altri casi di moschee «multate» negli anni hanno riguardato questioni urbanistiche, mai «sonore». Negli ultimi 10 anni - quando cioè le comunità islamiche hanno preso ad organizzarsi in veri e propri centro di culto - fra Magenta, Gallarate e Treviso le multe non sono mancate, ma son sempre state elevate sulla base di un conflitto per ora insanabile: i musulmani chiedono, ottengono, a volte gratis a volte pagando, un'aerea che spesso ha vocazione commerciale, ma che di fatto, venendo utilizzata anche per la preghiera, si trasforma in luogo di culto benché il piano regolatore non lo consenta. Anche Parma è passata da questa fase con deroghe e sanatorie per il centro di via Campanini. Ora, mentre il Tribunale impone al centro di adeguarsi, il Comune di Federico Pizzarotti tende la mano alla comunità islamica: da alcuni mesi è al vaglio della regia grillina della città la possibilità di concedere una nuova area ai musulmani, quasi 20 mila a Parma.

Mentre si susseguono raccolte firma per protestare contro una nuova «moschea», il trasloco da via Campanini sembra ormai inevitabile. Il sindaco promette chiarezza e trasparenza e avrebbe individuato una zona, perfino più centrale, vicino al fiume e all'Efsa, il centro per l'autorità alimentare europea. Inshallah.

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