Roma - Sì, ci vorrebbe davvero «coraggio», magari anche un po' di «senso di responsabilità» e far nascere un governo di larghe intese, cioè quello che serve adesso all'Italia per uscire dalla crisi e dallo stallo istituzionale. Ci vorrebbe, spiega Giorgio Napolitano, «senso dello Stato» per superare tatticismi e veti e dare al Paese una guida. E se nel 1976, con l'unità nazionale, quel coraggio i partiti ce l'hanno avuto, ora agli occhi del Colle la situazione è molto più sconfortante.
Certo, è colpa della politica, che non riesce a trovare un'intesa. Ma parecchie responsabilità, dice il presidente, ce l'hanno pure i campioni dell'antipolitica. «Certe campagne che si vorrebbero moralizzatrici in realtà si rivelano, nel loro fanatismo, negatrici e distruttive». Il movimento Cinquestelle non può limitarsi a dire sempre di no: hanno voluto la bicicletta, adesso pedalino.
A pochi giorni dall'inizio del rodeo del Quirinale, alla vigilia della scadenza del settennato, il discorso di Napolitano somiglia parecchio a un lascito. L'occasione è la commemorazione a Montecitorio di un suo amico storico, Gerardo Chiaromonte. Trentott'anni fa, sostiene, il Pci dette prova di «statura e di cultura di governo, pur essendo forza di opposizione, accettando una larga intesa con la Dc per affrontare l'emergenza economica e il terrorismo». E non fu una scelta facile, all'epoca sostenere, il Divo Giulio. «Ci volle coraggio per quella scelta inedita di larga intesa e solidarietà, imposta da minacce e prove che per l'Italia si chiamavano inflazione e situazione finanziaria fuori controllo e aggressione terroristica allo Stato democratico come degenerazione dell'estremismo demagogico».
Ora il partito armato non c'è più, ma c'è ancora la crisi. Quello che manca, pare dire il presidente, è «il coraggio» degli eredi di Botteghe Oscure. «L'unico momento, direi, in cui non ci trovammo, io e Gerardo, in piena sintonia, fu quello della concitata chiusura, da parte del Pci, dell'esperienza della solidarietà nazionale: decisione che fu foriera di un arroccamento». E siccome la storia si ripete, ecco che l'ex comunista Pier Luigi Bersani sembra arroccarsi di nuovo.
Ma che successe nel 1976? Due partiti alla pari, un sistema bloccato, una soluzione sofferta, tanto da far coniare un neologismo: il «governo della non sfiducia». Anche allora tutto incominciò con un'elezione riuscita male: nessun vincitore chiaro, con la Dc al 38 per cento ed il Pci al 34. L'unica via d'uscita fu di affidare la guida del Paese ad una vasta alleanza, cioè ad un esecutivo di solidarietà nazionale, anche per fronteggiare la gravissima situazione dell'ordine pubblico a causa del terrorismo. Ma non da subito, poiché durante la Guerra Fredda l'ingresso del Pci al governo sarebbe difficile da far digerire non solo ai democristiani, ma anche agli americani. Così Il 26 luglio 1976 nacque il terzo governo Andreotti, un monocolore democristiano con l'astensione di Pci, Psi, Psdi, Pri, Pli.
Altri tempi, altri uomini. Napolitano e Berlinguer non sono mai andati troppo d'accordo, però quarant'anni dopo il capo dello Stato riconosce i suoi meriti.
Ma allora c'era una «visione della politica come responsabilità cui non ci si può sottrarre», adesso è un'altra cosa. «Non è di questo, peraltro, che parlano certe campagne che si vorrebbero moralizzatrici e, in realtà, si rivelano, nel loro fanatismo, negatrici e distruttive della politica». Grillo si calmi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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