Tavecchio chi? Agnelli e Berlusconi sono alleati, adesso. Senza volerlo, o forse sì. Senza dirselo, o forse sì. Le macerie del pallone italiano consegnano a se stesse un asse tra due famiglie che prima si sopportavano. Non è la prima volta, ma è una cosa nuova comunque perché era molto tempo che non accadeva. Carlo Tavecchio e la sua candidatura alla presidenza della Federazione italiana giuoco calcio sono riusciti a mettere d'accordo due mondi quasi opposti. «Servono idee, non logiche delle tessere e da Dc della Prima Repubblica. Ci vogliono persone (...)
(...) nuove», ha detto da Milano Barbara Berlusconi. Quindi non Tavecchio che non è né giovane, né tantomeno nuovo, visto che nel pallone vive da sempre. Agnelli da Roma c'ha messo il carico: «Gli altri hanno Rummenigge e Platini. La gente riconosce loro autorevolezza immediata. Fatico a pensare che lo stesso trattamento possa essere riconosciuto a Tavecchio. Non serve un traghettatore, ma un riformista che ci porti in un'altra dimensione».
Vogliono la stessa cosa, Agnelli e Berlusconi. Vogliono probabilmente anche la stessa persona: Demetrio Albertini, candidato non ufficiale della dirigenza giovane del calcio italiano. Vogliono entrambi, e non sono i soli, qualcuno che azzeri, spiani, asfalti il potere del calcio italiano degli ultimi decenni e poi ricostruisca tutto. Vogliono qualcuno più vicino a loro, anagraficamente e filosoficamente. Vedono entrambi in un ex calciatore giovane la possibilità di avere un volto riconoscibile e credibile. Qualcuno che all'estero faccia pensare all'Italia come a un Paese in grado di rinnovarsi. Ciò che un tecnico di palazzo non potrebbe mai fare. Non dicono mai rottamare, ma è quello che pensano. Vogliono che ciò che non è stato fatto finora si faccia adesso. Siamo al punto più basso del nostro sistema pallonaro da quarant'anni a questa parte: è il momento giusto, semplicemente. È una battaglia difficile la loro, sono minoranza nel mondo del calcio.
Hanno un'idea di futuro che parte probabilmente da presupposti diversi per giungere alla stessa conclusione: un pallone che diventi un sistema aziendale, un modello di business sostenibile. Esistono gli esempi all'estero. L'alleanza è strana, perché Agnelli e Berlusconi sono sempre stati due Italie diverse. E però il calcio è stato l'unico terreno dove trovare intese. In passato accadeva attraverso i manager, sul mercato e in Lega. Poi il caso Calciopoli le ha allontanate e il celebre gol-non gol di Muntari ha interrotto i rapporti. Tavecchio ricuce, suo malgrado.
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