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Nel libro l'evoluzione del concetto dall'800 ai nostri giornil'anteprima

I recenti casi di cronaca nera (quello della donna sgozzata con i due figli dal marito e quello dell'identificazione dell'assassino di Yara Gambirasio) sono diventati oggetto di discussione, tra il frivolo e il profondo, su tutti i social media. In simili occasioni le «persone normali» si confrontano con il concetto astratto, ma anche terribilmente concreto, del «male». Risulta allora utile dare uno sguardo al recente saggio di Arturo Mazzarella Il male necessario (Bollati Boringhieri, 158 pp., 14 euro). Mazzarella, docente di Letterature comparate all'Università di Roma Tre, prende in esame la letteratura, il cinema e le arti visive, ma il suo discorso può facilmente allargarsi anche ai comportamenti umani di tutti i giorni e diventare, dunque, filosofico a tutti gli effetti.
La tesi del saggio di Mazzarella è così riassumibile: un tempo (fino all'Ottocento di Baudelaire e Dostoevskij) il male era legato alla trasgressione di un ordine morale, era qualcosa di scandaloso, di sconvolgente, di diabolico. Ai giorni nostri, e leggendo le pagine di autori contemporanei come Bret Easton Ellis, Michel Houellebecq, Emmanuel Carrère e Roberto Bolaño, lo stesso male pare non indurre più le «persone normali» a moti di ribellione o di resistenza, bensì si è trasformato in categoria estetica e si è saldato, anche per motivi etimologici, all'esperienza della percezione. Un male disinnescato, slegato dalla trasgressione, è sicuramente meno individuabile, più accettabile e accettato, e dunque ci troviamo di fronte a un grande cambiamento.
Anni prima degli autori presi in esame da Mazzarella, Truman Capote era giunto a conclusioni analoghe quando si trovò a lavorare a quello che sarebbe diventato il suo best seller A sangue freddo. Mazzarella dice: «L'empatia stabilita da Capote con i due giovani che avevano sterminato un'intera famiglia per ricavare un misero bottino era stata tale da proiettare l'autore nei confusi labirinti tracciati dalla mente dei due criminali».
Il male, dunque, comincia a sembrarci famigliare. Come non sentirsi tutti coinvolti in prima persona leggendo L'avversario di Carrère? Anche Carrère, come Capote, ha preso un fatto di cronaca inspiegabile e terribile (lo sterminio di una famiglia da parte di un bugiardo patologico che, pur di non dover dire per una volta la verità, ha preferito far fuori tutti i suoi parenti) e ha cercato di capire. Il risultato è che ha capito fin troppo bene, e con lui hanno capito fin troppo bene i suoi lettori. Il commento più diffuso, tra i molti che, leggendo il libro, si sono immersi nella psiche del falso medico Jean-Claude Romand, è stato proprio: «Sarebbe potuto succedere anche a me».
Nel caso di American Psycho di Bret Easton Ellis, Mazzarella è convincente quando traccia un collegamento tra la psiche del serial killer yuppie Patrick Bateman così come ce la descrive Ellis e certe intuizioni dei primi anni '60 dello psicanalista inglese Wilfred Bion: «(Con Patrick Bateman) ci troviamo di fronte all'incrinata capacità di simbolizzare, di trasferire le proprie impressioni sensoriali in astrazioni dotate di significato». Bateman è sicuramente «scollegato» per la maggior parte del tempo e, se i primi lettori del libro (uscito nel 1991, precedentemente alla grande rivoluzione telematica), non potevano forse identificarsi completamente in lui e potevano perfino considerare American Psycho un romanzo distopico, ambientato in una società non proprio uguale a quella in cui loro stessi conducevano le loro esistenze, è possibile che invece i nuovi lettori del libro, i lettori di oggi, possano tranquillamente accettare il male incarnato da Bateman come plausibile e tutto sommato «normale». Peccato che il romanzo di Roberto Bolaño Terzo Reich sia stato pubblicato soltanto quattro anni fa, dopo essere stato scritto nel 1989. Anche in questo caso si tratta di un libro profetico, che anticipa modalità e dinamiche che oggi si possono ritrovare qua e là in quella che chiamiamo realtà. Il protagonista del romanzo è Udo, campione di un wargame sul Terzo Reich, che decide di usare il suo sofisticato talento bellico virtuale per creare disordini reali nella tranquilla località balneare della Costa Brava nella quale sta trascorrendo un'innocua vacanza. Con tutte le differenze del caso, non si può non pensare al caso di Anders Breivik, il terrorista norvegese che ha ucciso 77 persone nell'isola di Utøya. Così come non si può non andare con la mente agli inquietanti romanzi di Michel Houellebecq, che Mazzarella analizza nelle pagine forse migliori del volume.
Finto il saggio, si torna alla cronaca, e si trovano conferme di quanto esposto da Mazzarella. Il marito «normale», che sgozza la moglie perché non la ama più, alla domanda dei giudici: «Perché non ha divorziato?» risponde: «Perché dopo il divorzio i figli sarebbero comunque restati». Dunque uccide anche i figli. Nessun mistero, nessun segreto da nascondere (la donna di cui si era invaghito l'ha sempre rifiutato).

Non c'è nessuna spiegazione nascosta, soltanto la totale incapacità di afferrare un qualsiasi brandello di realtà, proprio come nel Romand de L'avversario.

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