Nel Pd esplode il malumore dei riformisti

"Ma al congresso prenderemo solo il 20%". La replica alla Schlein e l’ammissione: "Lei resterà leader"

Nel Pd esplode il malumore dei riformisti
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«Nostalgia? No. Qui c’è un problema di linea e di numeri: Schlein non allarga, tiene il Pd dov’è sempre stato». Base riformista, dopo le parole di Elly Schlein ospite da Fabio Fazio («Se qualcuno ha nostalgia del Pd che governava con la destra, ha sbagliato»), reagisce in maniera piccata. Lo fa in chiaro con Pina Picierno e lo fa off the record, attraverso lo sfogo di un paio di parlamentari intercettati dal Giornale. La Picierno, su Facebook, mette in fila i nomi e smonta la narrazione della segretaria: «Leggo molti compagni felici della linea sul Pd che non deve più allearsi con la destra. Giusto. Però sarebbe corretto dire se la segretaria si riferisce al governo Letta o al governo Draghi». Poi l’affondo: «Vorrei sapere cosa ne pensano Orlando, Franceschini, Sereni, Guerra, Speranza, Provenzano e tutti i compagni che erano ministri e sottosegretari di quei governi. La storia del Pd non è un menù da cui scegliere ciò che piace all’occorrenza».

Dietro le parole ufficiali, la versione dell’opposizione interna è ancora più dura: «Elly si fa portare a spasso da Conte, che vuole fare il leader della coalizione con l’appoggio di Franceschini e Bettini», attaccano dalla corrente riformista. E il giudizio sulla segreteria è tranchant: «Schlein è debole. Recupera un po’ a sinistra ma perde al centro, e così il Pd resta inchiodato al 18-19%. Doveva allargare, invece restringe». E ancora: «Il progetto della segretaria è svuotare il Pd dei moderati e farci trasmigrare dentro Casa Riformista di Matteo Renzi. Ma noi non ce ne andremo». Le alternative individuate dai riformisti per tentare il rilancio del Pd sono due: il congresso, anzitutto, e poi le primarie per il candidato premier. Le due strade non sono incompatibili ma il nome dei riformisti, in entrambi i casi, è uno solo: Pina Picierno. Un’altra figura spendibile sarebbe Stefano Bonaccini. Ma ormai l’ex presidente dell’Emilia Romagna rappresenta il miglior alleato di Elly.

E da Base riformista stessa arriva la resa delle armi: «Sappiamo che, sia nel caso di primarie sia nel caso di congresso, non supereremo il 20, massimo 25%. La verità è che il Pd ha ormai subito una mutazione genetica. Picierno e Gori, per fare due nomi di peso, prendono molte preferenze. Ma è la somma di accountability personali che non funziona. La leader resterà Elly», afferma un big fuori dal microfono, qualcuno che è tornato di recente a partecipare alle riunioni correntizie. Lia Quartapelle, altra parlamentare dem, aggiunge, parlando col Giornale, un ulteriore messaggio, più programmatico e tagliente: «Se si vuole cambiare l’Italia, non ci si può accontentare di fare accordi con la destra dopo il voto ma si devono vincere le elezioni. Per questo rompiamo il silenzio, dando un contributo di idee. Perché vogliamo vincere le elezioni per governare».

Un avvertimento politico, più che polemico, ma inequivocabile: la minoranza non accetta l’idea di un Pd identitario e minoritario. A fine novembre, la segreteria ha convocato a Montepulciano una «tre giorni» di seminari con le correnti filo-Schlein: le aree di Franceschini, di Andrea Orlando, di Peppe Provenzano e di Roberto Speranza.

È un coordinamento di quarantenni destinato a generare un correntone e che assume il ruolo di curatore dell’agenda interna. Per la minoranza, è la prova che questa «curatela» è quella di «carattere fallimentare». E che la segreteria punta su un circuito ristretto per blindarsi piuttosto che aprire spazi.

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