Questa volta tocca alle donne. Colpevoli, incarcerate, crudeli tanto quanto le cronache, troppo spesso, raccontano degli uomini. Strane leggi quelle italiane, capaci di superare i confini del buon senso, di quel comune sentire di naturale giustizia che appartiene a ciascuno ma che si vede raramente applicato. Dove il confine? Decidono i tribunali, i giudici. In un aula possono darti ragione, nell'altra sei il colpevole. Questioni di destino, fortuna, mezzi. Accade così che nel carcere milanese di San Vittore sia finita una signora di mezza età perché otto anni fa non versò all'ex coniuge l'assegno mensile per gli alimenti alle figlie.
La donna, per protesta contro il verdetto, non ha presentato istanza per ottenere almeno gli arresti domiciliari. Ma a differenza di altri casi simili, in questo caso la procura di Potenza, competente per l'esecuzione della pena, si è ben guardata dall'utilizzare d'ufficio la legge «svuotacarceri» scegliendo di punire severamente la signora finisse a dispetto del lieve reato.
Una storia complicata e per certi aspetti paradossale quella (anticipata dal Giorno, ndr) di E. F., 54 anni, origini emiliane. Alle spalle un matrimonio fallito, con due figlie (che ora hanno 19 e 16 anni) affidate al padre e assegno mensile di 600 euro a carico di lei. La condanna a due mesi di carcere - senza la condizionale - riguarda fatti commessi nel gennaio del 2004, quando le bambine avevano undici e otto anni. Da allora è trascorso diverso tempo ma la giustizia tartaruga ma implacabile, alla fine si è abbattuta a dispetto del «crimine». Manco fosse un'assassina, una rapinatrice, una truffatrice. Magari, quelli rimangono chissà perché impuniti nel nostro Paese del Diritto. Nel caso di E., la sentenza di primo grado emessa dal tribunale di Potenza nel marzo 2012 è divenuta definitiva lo scorso ottobre. Non era stata impugnata perché, sostiene l'avvocato Caccetta, F.
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