Non è reato definire «picchiatore fascista» un ex militante Msi

La Cassazione assolve un blogger che aveva attaccato un giornalista. Levata di scudi, da Alemanno alla Fnsi

Stefano Mensurati
Stefano Mensurati

Roma - «Sconcertante». «Preoccupante». «Incomprensibile». «Anacronistica». Sono questi gli aggettivi che si ritrovano nei titoli di agenzia che riportano i commenti alla sentenza della Cassazione che ha assolto - «perché il fatto non costituisce reato» - un blogger che nel suo sito aveva definito «ex picchiatore fascista» Stefano Mensurati, attuale vicedirettore del Giornale Radio Rai.
Il motivo della sentenza che ha ribaltato primo grado e appello favorevoli al giornalista? Il riconoscimento di una sorta di peccato originale: aver fatto parte in età giovanile del Fronte della Gioventù. Una appartenenza a una «ben precisa posizione politica» che «non corrisponde a quella della maggioranza degli italiani e ai principi costituzionali in cui essi incondizionatamente credono». Insomma, per farla breve, l'equazione è: se hai fatto parte del Fdg, non è reato definirti un picchiatore.
Ma da cosa nasce «l'accusa» lanciata dal sito? Da una intervista concessa al Venerdì di Repubblica da parte di Mensurati. «Mi chiesero: botte con i rossi?» ricorda il giornalista. «Risposi: ma scusa mi vedi? Ti sembro un picchiatore? Tutt'al più se dovevo fare a botte le prendevo più che darle. Insomma non ho certo il fisico del picchiatore, né l'indole, né il temperamento. Ci siamo messi a ridere. Poi è uscita la frase: “Più che darle le ho prese”». Oggi il sentimento predominante è quello dell'amarezza e dello stupore. «Non sono mai stato un picchiatore fascista! Dirlo è una balla colossale oltre che una calunnia. Ma è mai possibile confondere il Fronte con i gruppi violenti? E poi: chi stabilisce qual è il pensiero della maggioranza italiani? E ancora: è un concetto giuridicamente rilevante come la pensa la maggioranza degli italiani? Allora se uno fa parte di una minoranza politica non ha diritto a lavorare o occupare posizioni di rilievo? E una tesi del genere potrebbe mai essere applicata a chi faceva parte della Fgci o di Lotta Continua?».
L'altro elemento che colpisce è la «distrazione» del mondo politico-giornalstico. A Mensurati sono arrivate attestazioni di solidarietà ma soltanto da parte della destra che per una volta è riuscita a superare le proprie lacerazioni. Si sono fatti sentire Gianfranco Fini, Gianni Alemanno, Maurizio Gasparri, Mario Landolfi, Roberta Angelilli (che intende sollevare la questione al Parlamento europeo), Roberto Menia (che giustamente chiede: «Ma lo sanno che Borsellino era del Fuan?») e altri. Uniti nel sottolineare che questa offesa si estende al presidente della Camera, a ministri, parlamentari, economisti, al sindaco di Roma. Ma dal Quirinale in giù tutti hanno chiuso gli occhi. E anche tra i giornalisti è scattata la regola del silenzio. Gli unici che hanno alzato la voce sono stati i consiglieri Fnsi, Paolo Corsini, Massimo Calenda, Marco Ferrazzoli e Pierangelo Maurizio della componente L'Alternativa, decisi nel chiedere una presa di posizione da parte della Federazione della stampa.

E a invocare una ribellione contro «una vera e propria discriminazione ideologica e una lesione costituzionale». Una ribellione che difficilmente ci sarà visto che il giorno dopo sulle agenzie di stampa il «caso Mensurati» è già cancellato e archiviato.

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