Il nostro regno per un cavallo Ecco una storia da cavalcare

Del mio primo incontro con Vittorio Feltri rimembro sempre una frase: «Ricordati che, senza il cavallo, l'uomo sarebbe ancora nelle caverne».
Pur non essendo, come lui, un profondo conoscitore del cavallo, ho sempre amato questo animale, per l'eleganza, la potenza, la sensibilità e la fedeltà verso il suo padrone, se ne ha avuto uno bravo a capirlo è stare con lui senza mai alzare le mani. Dovesse cadere con il suo proprietario sul dorso, la prima preoccupazione del cavallo sarebbe quella di non calpestarlo, a costo di farsi male. E noi li abbiamo sfruttati oltre ogni limite, per motivi di supporto ai trasporti, bellici, agonistici, sportivi, amatoriali e perfino gastronomici.
La storia del cavallo è affascinante e il suo rapporto con l'uomo è quasi commovente, se si pensa a quanto questo magnifico animale gli ha dato, troppo spesso ricambiato con un pugno di biada, con la degnazione di colui cui tutto è dovuto e talvolta con la crudeltà gratuita di chi possiede, nei geni, una cattiveria unica nel mondo naturale.
Il 30 ottobre, esce nelle librerie Storia del cavallo (Odoya, 272 pagine, 18 euro) di J. Edward Chamberlin, docente d'inglese e storia comparata all'Università di Toronto. Chamberlin ha lavorato per diversi anni sulle rivendicazioni territoriali autoctone nel mondo e, nipote di un fattore canadese, ha allevato cavalli e raccolto storie e aneddoti, su di loro, per gran parte della sua vita. Il sottotitolo del libro «Dalla preistoria ai nostri giorni» promette una lunga cavalcata dentro una sorta di macchina del tempo in grado di mostrarci l'origine e l'evoluzione di quello che Linneo chiamò Equus caballus, dall'era glaciale all'epoca postindustriale. Afferma l'autore che «i cavalli hanno plasmato e definito la cultura dell'uomo attraverso i secoli». In effetti essi sono stati sostegno, trasporto e compagnia, simboleggiando spesso uno status sociale e determinando l'abilità di fondare ed espandere imperi.
Nato circa 50 milioni di anni fa, il cavallo è stato addomesticato relativamente di recente (5000 a.C.) e comunque più tardi di altre specie, nelle steppe dell'Asia orientale, mentre, per vederlo in Europa, si dovranno attendere altri duemila anni. Oggi esistono cavalli bradi, ma non esiste più una sola specie di cavallo selvaggio, se si fa eccezione per il cavallo di Przewalski che, una volta estinto, ho avuto la fortuna di vedere «ricostruito in carne e ossa» allo zoo di Praga, dopo un lunghissimo e complesso lavoro sulla genetica dei ricercatori cechi.
Fin dall'epoca preistorica i cavalli sono stati fondamentali nella costruzione come nella distruzione delle civiltà, elementi essenziali tanto della cultura nomade quanto di quella «sedentaria», oltre che parte integrante dell'arte bellica. La loro elegante maestosità è da sempre fonte di miti, leggende, sogni e incubi. Chamberlin analizza, nella sua opera, come il ruolo del cavallo vada oltre a quello del mero possesso materiale per diventare un'immagine metafisica e spirituale. E, nel raccontarci storie equine nei contesti più disparati, fornisce un ricco insieme di aneddoti sui cavalli nel lavoro, in guerra, nei giochi, nell'arte, nella letteratura e nel cinema.
All'Università del Kansas c'è un cavallo imbalsamato. Si chiama Comanche. Era del capitano Keogh, uno degli ufficiali di Custer al Little Big Horn.

Comanche fu colpito da sette frecce, ma, con le cure adeguate, trascorse la convalescenza e il resto della sua vita a Fort Lincoln, diventando una leggenda. Quando Comanche morì, molti si strofinarono gli occhi leggendo il giornale, tra loro molti vecchi Indiani. Il Grande Comanche aveva varcato le sconfinate praterie per tornare all'energia del Grande Spirito.

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