Milano - Il day after di Ilda Boccassini somiglia ad un giorno come tutti gli altri: il procuratore aggiunto è in ufficio, riceve i poliziotti, coordina una retata contro un paio di amministratori locali. Ma dietro la calma apparente la Procura milanese sa che è in corso una partita delicata, e il cui esito è tutt'altro che segnato. La richiesta di condanna di Berlusconi a sei anni di carcere si appoggia su una massa imponente, in puro Boccassini-style, di intercettazioni, tabulati, rilevamenti. Ma anche su considerazioni di diritto altrettanto decisive per tramutare le accuse in condanna. Ed è qui che la Boccassini e i suoi colleghi sanno di rischiare di più.
Prima ancora di iniziare la requisitoria, lunedì mattina, la Boccassini e il suo collega Antonio Sangermano hanno depositato tre memorie scritte al tribunale che dovrà emettere la sentenza. Una è un bestione da settecento pagine dedicato all'analisi - giorno per giorno, passo per passo, - dei movimenti dei protagonisti delle serate di Arcore, da Ruby, alle ragazze, ad Emilio Fede, per dimostrare che «è falso, Signore del Tribunale, è falso che le cene di Arcore fossero degli ordinari convivi, al più arricchiti da qualche goliardica scenetta di burlesque»: una dimostrazione che la procura riteneva di avere già fornito a voce ma che, a ogni buon conto, ha ritenuto preferibile mettere per iscritto.
Ma il tema cruciale è quello che affrontano le altre due memorie, assai più agili, tutte incentrate su questioni di diritto: una sulla legge che regola la prostituzione minorile, che nel tempo è stata modificata ripetutamente; l'altra sul reato di concussione, modificato dal governo Monti nel novembre scorso. Per entrambi i reati contestati a Berlusconi, insomma, le leggi sono cambiate. Ed in questa evoluzione, come la Procura sa bene, il processo rischia di incagliarsi.
La prima memoria ricorda che per quanto riguarda l'utilizzo della prostituzione minorile, la Convenzione di Lanzarote, firmata dall'Italia nel 2007, stabilisce che il «cliente» sia punibile anche se non conosceva l'età della vittima «salvo che si tratti di ignoranza inevitabile». Se la norma si applicasse al caso Ruby, la Procura scavalcherebbe d'un salto uno degli ostacoli più insidiosi del processo: dimostrare che Berlusconi sapeva che la ragazza era minorenne. Ma la convenzione è stata convertita in legge in Italia solo nell'ottobre scorso. E quindi, come ammette la memoria dei pm, non si può applicare al caso Ruby, che è precedente. E il problema di dimostrare che «Silvio sapeva» rimane.
Ancora più complesso il tema del reato di «induzione», per il quale è stata chiesta la condanna di Berlusconi per la telefonata in questura. La memoria dei pm dà atto che esistono due interpretazioni della nuova norma: e una ritiene che il reato c'è solo se l'«indotto» (in questo caso i tre funzionari della questura di Milano) abbia accettato le pressioni «perseguendo un proprio obiettivo utilitaristico».
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