Il nuovo corso: un secolo di Parlamento in tre

Il Polo di centro che dovrebbe svecchiare il sistema? Casini, Fini e Pisanu: giovanotti in Aula dagli anni Settanta

Il nuovo corso: un secolo di Parlamento in tre

Roma - Sono il nuovo che avanza. Non nel senso dinamico del termine, ma nel senso di rimasuglio, come quando in frigo scovi un reperto di formaggio che avevi dimenticato e che è ben poco appetibile. Sono Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini e Beppe Pisanu, i tre leader dell'asse moderato che si candida, alle prossime elezioni, a ereditare la Weltanschauung montiana in assenza di Monti stesso, ponendosi come il magnete che possa spostare verso il centro Bersani e il suo Pd per allontanarli dalla deriva vendoliana.

Il progetto è serio e sta prendendo forma. Ma fa sorridere il fatto che a capo di questa allegra (si fa per dire) combriccola non ci sia nemmeno uno dei giovani turchi della politica italiana, bensì tre personaggi che assommano quasi un secolo di vita parlamentare. Proprio così: Casini è deputato, tra Dc, Ccd e Udc, dal luglio 1983, e quindi vanta più di 29 anni di militanza a Montecitorio. La stessa anzianità aziendale di Gianfranco Fini, che in quel palazzo che ora comanda entrò per la prima volta da delfino di Giorgio Almirante nell'allora Msi-Dn; da allora ha cambiato tre volte casacca (An, poi Pdl, infine Fli) ma non ha mai abbandonato il suo scranno. Il più anziano dei tre, Pisanu, ha compiuto da poco quarant'anni di servizio tra le due Camere: entrò in parlamento per la prima volta a 35 anni, nel 1972, quando militava nella Dc. Da allora è stato sempre presente nell'album delle figurine parlamentari, tranne che nell'XI legislatura, peraltro la più breve della storia repubblicana, tra il 1992 e il 1994. Se anche defalchiamo dal computo totale questo biennio di aspettativa, il trio Casini-Fini-Pisanu conta 96 anni vissuti parlamentarmente, una vita media più qualcosa.

Questi tre giovanotti hanno messo gli occhi sull'attuale ministro dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture e trasporti Corrado Passera. È lui l'uomo che, in assenza di una discesa in campo in prima persona di Mario Monti, rappresenterebbe meglio la continuità con il governo dei tecnici: anzi, a causa delle frequenti cadute di stile (più o meno spontanee) da parte del premier, si può dire che Passera sia oggi più montiano di Monti. Pedigree immacolato, popolarità in modalità bello stabile, il solo handicap di un cognome che fa la gioia dei titolisti. Ma alla fine, si sa, anche costoro nel loro piccolo si annoiano.

Ma che cosa farebbero Casini, Fini e Pisanu di Passera? L'idea è quello di candidarlo come premier a capo di una coalizione di moderati, senza coinvolgere inizialmente il Pd. Quindi niente partecipazione alle primarie del centrosinistra, uno smarcamento bello e buono con qualche rischio ma anche con i vantaggi di una pesatura accurata della coalizione in termini elettorali e di una maggiore libertà di azione. L'alleanza con l'area progressista avverrebbe in un secondo momento, dopo la presumibile vittoria di un Bersani che cannibalizzerebbe Nichi Vendola succhiandone i voti e poi abbandonandolo per governare più agevolmente. Passera avrebbe quindi il ruolo di conquistare i voti dell'elettorato moderato, cattolico, ansioso di rassicurazioni e allergico agli avventurismi. In questo modo i moderati arriverebbero all'appuntamento con il Pd con i chili di muscoli che mancano per potere ambire a un fifty-fifty.

Un'operazione di ingegneria elettoralistica che, se funzionasse, varrebbe a Casini - il vero albero motore della macchina centrista - i galloni per realizzare i sogni di Quirinale in nome del quale rinuncerebbe anche alla candidatura a Palazzo Chigi. Dietro l'operazione c'è inoltre l'ombra di Massimo D'Alema, altro giovanotto con 25 anni di mandati parlamentari alle spalle, che da sempre coltiva il progetto di una Grosse Koalition che attraversi due terzi del territorio politico italiano, andando da Vendola a Casini ma tenendo fuori l'inaffidabile Antonio Di Pietro, abbandonato all'abbraccio (mortale?) di Beppe Grillo. Tutto molto bello, direbbe Bruno Pizzul.

A parte naturalmente l'elettore, che sente puzza di raggiro. Chi vota Passera potrebbe trovarsi a comprare senza saperlo un'azione del governo guidato dagli ex comunisti. Nulla di male, per carità. Ma sarebbe più onesto dirlo prima.

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