Il varo del nuovo «redditometro», che si propone di esaminare la correlazione tra le entrate di ognuno di noi e i nostri privati comportamenti, mi pare meriti alcune considerazioni critiche.
In primo luogo, appare chiaro come molti - specie nel mondo politico - non abbiano per nulla compreso che l'Italia sta letteralmente morendo di imposte e spesa pubblica. Ogni nuova iniziativa che, come questa, si propone di aumentare la quota delle risorse sottratte all'economia privata (...)
(...) e destinate al settore pubblico denota come i governanti, quale che sia il loro colore, ormai sappiano solo tassarci e tiranneggiarci. Anche se un numero crescente di imprese lombarde o venete si trasferisce a Lugano e a Klagenfurt, il governo continua sulla strada di sempre. E la devastazione non riguarda solo l'economia.
Dietro il redditometro c'è un progetto culturale devastante. Quando lo Stato definisce quali sono i comportamenti più o meno «congrui» con determinati redditi, esso fa il ritratto - con le sue miserabili tabelle - della vita che noi siamo autorizzati a vivere. Se si è piccolo-borghesi, ad esempio, va bene insomma acquistare un'automobile, ma non certo mandare i figli in una scuola privata. Nessuno lo vieta espressamente, però è che ormai esistono solerti funzionari pubblici che sono autorizzati ad aprire una pratica a nostro danno: a metterci «nel mirino».
Siamo dunque al trionfo della mediocrità di uno Stato che vive della propria (effettiva, riconosciuta, indiscussa) capacità di spaventare e distruggere. Esso qui si rivela per quello che è: un potere senza autorevolezza e che, quindi, deve imporsi con il terrore. Ma è ovvio che quando si ricorre all'intimidazione si colpisce il buono e il cattivo, l'onesto e il disonesto. Timorosi di dover dare ragione delle proprie scelte a un apparato ottuso (che solo dopo molti anni riconosce i propri errori), molti tra di noi pur avendo ragione rinunciano così a ogni azione di contrasto: abbandonano l'idea stessa di avere diritti di fronte al potere. E questo è più che giustificato, dato che nessuna persona sana di mente vuole finire negli ingranaggi della burocrazia italica.
Chi difende il redditometro risponde sempre allo stesso modo: sostenendo che quanti non hanno nulla da nascondere non devono avere nulla temere. Non avvertono, però, come questo sia in senso stretto un argomento totalitario. Una società libera è una società in cui ognuno ha il diritto di celare la propria esistenza agli altri: siano essi soggetti privati o funzionari pubblici. Senza specifici e comprovati argomenti, un individuo ha il diritto di celare agli altri quanto fa e di non giustificare le proprie scelte. Ha pure il diritto di vivere al di sopra delle proprie possibilità (erodendo il capitale ereditato, ad esempio) e quello di spendere e spandere grazie ad aiuti familiari o di altra natura: e tutto ciò senza che un funzionario gli chieda ragioni.
Lo scenario, però, è ormai chiaro. Siamo sempre meno liberi in quanto siamo sempre più vittime di un potere incapace di limitarsi e anzi obbligato - per alimentare le proprie clientele - a spendere in maniera crescente. E per reggere il meccanismo deve diffondere la paura.
È probabile che - nonostante il redditometro, il divieto di usare il contante e qualsiasi altra aggressione alle nostre libertà - la strutturale incapacità dello Stato a limitare le uscite condurrà se stesso e tutti noi al fallimento. Ma a quel punto non saremo soltanto in povertà: avremo perso pure la consapevolezza dei nostri diritti e il coraggio di batterci a loro difesa.
segue a pagina 6
di Carlo Lottieri
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