Matteo Renzi, prima di diventare premier, passava per decisionista. E forse lo era, al Comune di Firenze, che governava con la sua squadretta di collaboratori. Lo sembrò nei suoi due primi discorsi alla Camera e al Senato. Ma ora (...)
(...) che dalle questioni comunali è passato a quelle italiane, il decisionismo si è tramutato in attendismo e indecisionismo. Sul cuneo fiscale sarebbe semplice decidere: ridurre l'Irpef sui bassi redditi da lavoro dipendente, come vuole la Camusso, o tagliare l'Irap, come vuole la Confindustria dura e pura. Ma Renzi tentenna. Fra la visione generale, efficientista, quella per cui bisogna dare una scossa abbassando i costi, e quella populista-neocorporativa, per cui bisogna favorire i bassi redditi ma solo se si tratta dei lavoratori dipendenti, che la Cgil ambisce a rappresentare. Renzi non sa neppure scegliere la terza via, quella della Confindustria conciliante, disposta a fare metà e metà. Lui sta ancora consultando i suoi esperti e se stesso. Anche sul modo di finanziare l'operazione Renzi si sta guardando attorno. Quando stava per insediarsi, parlava di 10 miliardi annui come di cosa certa. Adesso la sicurezza è andata persa. E ciò anche perché quando ha prospettato l'impiego per il cuneo fiscale di fondi dell'Ue a disposizione dell'Italia per le politiche di occupazione, gli è stato riposto da Bruxelles che, come è noto, sono stanziati per interventi mirati alla promozione dell'occupazione con contenuto tecnologico. Non per generiche riduzioni del cuneo fiscale. C'è poi l'idea di utilizzare il rientro dei capitali dall'estero, di cui si occupa il decreto Letta, che è in discussione al Senato e che pare venga tramutato in disegno di legge, allungando così i tempi. Questa sanatoria, comunque, dà un provento temporaneo, che non può finanziare una riduzione fiscale permanente. Eppure Renzi di fondi ne potrebbe reperire con l'anti dirigismo. Ad esempio seguendo un suggerimento della Confindustria, che calcola in 12,8 miliardi i risparmi di spesa tagliando le società partecipate degli enti locali che vendono loro beni e servizi in modo inefficiente. Esse aggirano le regole sul blocco delle assunzioni e sulla concorrenza nelle forniture. Non sarà possibile realizzare subito tutti i risparmi, ma la scure la si potrebbe cominciare a impugnare. Ha rinviato a mercoledì il famoso Jobs Act per promuovere l'occupazione. Renzi ne parla da molti mesi come del maggior strumento di politica economica. Ma non c'è niente di definito; c'è un ventaglio di proposte e ciascuno nel governo ne avanza una, insieme ai giornali amici. Si discute di un assegno di disoccupazione universale, che non serve per creare occupazione. Pareva che dovesse sostituire la cig straordinaria, ampliando la tutela, in cambio del diritto delle imprese a licenziare, in deroga all'articolo 18. Poi la sua portata è stata limitata, collegandolo a un nuovo contratto di assunzione, chiamato di inserimento, privo di articolo 18. Adesso sembra che questa indennità di disoccupazione biennale renziana consista nella sostituzione della cig in deroga che riguarda i cosidetti «precari». Al solito, una soluzione provvisoria diventa permanente. La copertura, per altro, c'è solo in parte per il 2014 perché la cig in deroga è temporanea. Dove troverà i soldi Renzi per questa operazione non idonea a creare posti di lavoro? Frattanto medita anche sul rebus o, meglio, groviglio del pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione per 50-60 miliardi, che aveva promesso all'atto della sua investitura e che si dice possa esser attuato tramite la Cassa depositi e prestiti.
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