Occhio, Bersani bluffa

Il segretario democratico blocca il presidenzialismo perché ha paura: un leader eletto dal popolo non obbedirebbe ai partiti

Occhio, Bersani bluffa

Venerdì, quando Silvio Berlusconi, affianca­to da Angelino Alfano, ha proposto di tra­sformare il nostro sistema da parlamenta­re in presidenziale, o semipresidenziale (si tratta di approfondire), per rilanciare la politica italiana in disarmo, ho pensato che la sua fosse un’idea vecchia, recuperata dagli archiviin cui sono depositati mille tentativi vani di rendere efficiente la nostra impalcatura istituzionale, evidentemente ob­soleta. Non mi sono entusiasmato. Ho pensato che il Cavaliere avrebbe potuto svegliarsi prima. Anche se è meglio tardi che mai. Ieri però, dopo aver letto i giornali e le dichiarazio­ni dei leader politici, e i commenti di vari editoriali­sti, sono rimasto basito. Tranne Michele Ainis, che è entrato nel merito del progetto senza tradire pregiu­dizi, tutti hanno espresso perplessità e critiche. Le sintetizzo: il fondatore di Forza Italia e del Pdl, uscito dalla porta di Palazzo Chigi, spera di rientrare al Qui­rinale dalla finestra. In una parola: non molla. E pur di non abbandonare la scena, è pronto a tutto, anche a giocare la carta del rinnovamento costituzionale. Può darsi che sia vero. Ma non mi azzardo a fare il processo alle intenzioni. Piuttosto mi chiedo perché i fustigatori dell’ex premier si siano impegnati a sco­prire i motivi ( mica tanto reconditi)che lo abbiano in­dotto a rispolver­are il presidenzialismo e non valuta­re se questo possa essere o no idoneo alla governabili­tà dell’Italia. Nessuno- né Pierluigi Bersani né Anto­nio Di Pietro né Stefano Rodotà - si è domandato se l’adozione del modello francese, in sostituzione del nostro attuale (fallito), sia o no una buona cosa.

Da notare che i progressisti avevano sempre predi­letto il doppio turno elettorale, fin dai tempi della Bi­camerale di Massimo D’Alema, considerandolo ad­dirittura una panacea. Ora che finalmente il maggior partito del centrodestra si è convertito allo schema transalpino,ed è disponibile ad appoggiarne l’intro­duzione, coloro i quali lo avevano caldeggiato si tira­no indietro. Lo respingono. Non perché lo giudichi­no male, ma perché sospettano che faccia comodo a Berlusconi. Ritengono che lui, nel caso in cui il popo­lo fosse chiamato a votare direttamente il capo dello Stato, sarebbe avvantaggiato. Il che è semplicemen­te assurdo.

Non esiste al mondo una legge elettorale che fac­cia vincere chi prenda un voto in meno dei concorrenti. La questione quindi è un’altra.Mol­ti anni fa, parecchi autorevoli studiosi della materia, e parecchi uomini poli­tici, erano convinti che il presidenzia­lismo fosse auspicabile, ma si scontra­rono con chi, invece, aveva la sensa­zione che conferire il potere a un uo­mo eletto dalla gente fosse pericolo­so, nel senso che agevolasse il ritorno di una dittatura riveduta e corretta. Il ricordo e il retaggio del fascismo era­no ancora incombenti. Adesso, una minaccia del genere è superata. Cosic­ché un capo dello Stato scelto dal bas­so non sarebbe un potenziale despo­ta, ma avrebbe la facoltà di guidare la Repubblica secondo criteri di maggio­re efficacia rispetto a quelli del parla­mentarismo.

Perché allora i partiti avversari del Pdl non accettano di discutere la pro­posta berlusconiana? Semplice. Il pre­sidenzialismo c’è già. È stato imposto con una forzatura dai partiti, senza consultare i cittadini. Giorgio Napoli­tano, e anche Oscar Luigi Scalfaro, so­no saliti al Quirinale con il voto della maggioranza (politica) dei due rami del Parlamento (e dei governatori del­le Regioni) in base a logiche che pre­scindevano dalla volontà del corpo elettorale e legate agli interessi della Casta.

Il capo dello Stato pertanto non ri­sponde ai cittadini, non rappresenta affatto l’unità nazionale,ma la partito­crazia dalla quale egli ha ricevuto i suf­fragi e a cui rende conto. Napolitano non può essere tecnicamente sopra le parti perché risponde alla parte che, con una decisione assunta all’interno del Palazzo, gli ha consentito di assur­gere alla presidenza. E poiché nello specifico questa parte è la sinistra, è fa­tale che Bersani e i suoi alleati non gra­discano un presidente diverso da quello voluto da loro stessi, garante degli affari di bottega.

I progressisti hanno una visione mi­ope: non guardano a ciò che conviene al Paese, ma a quanto conviene loro.

Se ne fregano che questo sistema non funzioni più, come chiunque ha verifi­cato nel corso degli anni; puntano a vincere le elezioni (2013) con il porcel­lum , che fingono di disprezzare, ripro­mettendosi di sostituire Napolitano (in scadenza) con un suo epigono ov­vero un’altra emanazione della sini­stra, un tutore della succitata bottega, un personaggio fedele alla casa ma­dr­e e che nomini giudici costituziona­li politicamente affidabili, che bocci o firmi decreti coerenti con le direttive del partito. Un presidente spinto al Quirinale dal popolo e da questo abili­tato a governare? Nossignori. Agli ex comunisti e soci non può andar bene, perché non ubbidirebbe ai loro ordi­ni. Meglio un compagno allineato e coperto.

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