Roma - Un lungo vertice tra Silvio Berlusconi e Angelino Alfano. Una riflessione attenta sui tanti nodi organizzativi generati dallo sconvolgimento del calendario elettorale, con il possibile election day a marzo. La consapevolezza di pattinare sul ghiaccio sottile. Ma anche la volontà di rispettare la promessa fatta agli elettori e portare a termine la «missione primarie».
Il verdetto alla fine è interlocutorio: il Pdl non ammaina la bandiera. Anzi di fatto conferma che la consultazione popolare ci sarà. Ma verificata l'impraticabilità del modello americano, si orienta verso l'adozione di una data secca per le primarie per la premiership del 2013. Sul tavolo restano opzioni diverse. In questi giorni si è parlato del 16 dicembre, ma il confronto è tuttora aperto. Il segretario del Pdl, alla luce della raffica di incontri con lo stato maggiore del partito avuti nella giornata di martedì e dei contatti telefonici con i dirigenti sul territorio, sarebbe orientato a far slittare le primarie a domenica 13 gennaio. Ma la decisione finale arriverà soltanto oggi quando si terrà un mega-summit organizzativo con 240 dirigenti locali: 40 coordinatori e vicecoordinatori regionali e 200 coordinatori provinciali.
«Alla luce del fatto nuovo rappresentato dalla possibilità delle elezioni anticipate e accorpate - scrive Alfano in un comunicato - il calendario delle elezioni primarie, inizialmente deciso dall'Ufficio di presidenza del partito (con voto sequenziale ispirato al modello americano), diviene impraticabile, come ho già pubblicamente osservato in questi ultimi giorni. Su tutto questo, ho convocato i coordinatori regionali e provinciali del partito, per un confronto sulle questioni organizzative e sulla data di svolgimento delle primarie», conclude il segretario.
Alfano sa che dovrà mettere in conto alcune voci contrarie. Il partito, infatti, è spaccato tra chi ritiene che sia meglio archiviare la consultazione popolare e chi pensa che il passo indietro equivarrebbe a un suicidio politico. Così come non mancherà chi proverà a proporre una sorta di «eutanasia dolce», ovvero la trasformazione delle primarie in una «gazebata», tipo grande sondaggio popolare su nome, programma e indirizzo politico. Una possibilità che non accende grandi entusiasmi dalle parti del segretario.
Chi si schiera apertamente contro ogni ipotesi di passo indietro sono i due candidati più giovani. «Chiediamo da mesi che i cittadini possano scegliere al posto delle oligarchie dei partiti, a maggior ragione dopo aver constatato l'inadeguatezza dei partiti della seconda Repubblica» dichiarano Giorgia Meloni e Alessandro Cattaneo che nelle ultime settimane hanno stabilito una sorta di asse. «Le primarie sono un processo irreversibile che in nessun caso può venire meno. Chi in queste ore lavora per impedire che si celebrino, rimane affezionato a un modello autoreferenziale e teme il confronto con i cittadini». Un rilievo che fa scattare la rassicurazione di Ignazio La Russa. «Non ci sono problemi a organizzare le primarie, anche se non sono nella nostra tradizione, anche se non abbiamo otto mesi come il Pd, anche se non sono di coalizione.
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