Ora c’è un giudice a benedire le nozze gay

Ora c’è un giudice a benedire le nozze gay

Non servirà aspettare che il Parlamento accolga il severo rimbrotto della Cassazione, e si decida ad approvare una legge che consenta anche in Italia agli omosessuali di contrarre felicemente matrimonio: ci pensa un giudice di Reggio Emilia ad aprire il varco perché, senza bisogno di cambiare il codice civile, in Italia si riconosca come valido il matrimonio gay celebrato all’estero, in uno dei paesi europei che già lo consentono. Una sentenza quasi rivoluzionaria, che apre le porte ad un turismo matrimoniale delle coppie «omo», pronte a partire per la Spagna o per l’Olanda, dirsi «sì» e tornare in Italia a far valere i loro diritti.
La sentenza di Domenica Tanasi, giudice della Prima sezione civile al tribunale reggiano, affronta uno dei diritti elementari indicati dai trattati europei, quello dei cittadini dell’unione a circolare e a soggiornare liberamente nei paesi membri: portandosi appresso - e qui sorge il problema - anche il coniuge. Ma chi è, per la legge italiana, un coniuge? Finora e fino a prova contraria, una persona di sesso diverso. Roba del passato, per il giudice Tanasi: perché «il termine coniuge non può essere interpretato secondo la normativa italiana», ma deve rispettar le concezioni più liberal dei paesi europei che hanno aperto le porte alle aspirazioni nuziali dei gay.
E già questo sarebbe un passo avanti: se due cittadini spagnoli si sposano in Spagna, in Italia vanno considerati marito e marito. Ma la sentenza di Reggio Emilia si spinge più in là: perché affronta il caso di una coppia che ha coronato il suo sogno d’amore, nella romantica cornice di Palma di Maiorca, nel marzo di due anni fa. Ma nessuno dei due è spagnolo: uno è italiano, l’altro viene dall’Uruguay.
E in Spagna probabilmente ci sono andati solo perché, con la legge voluta dal governo Zapatero, lì i matrimoni omosessuali sono possibili: come lo erano già in Belgio e Olanda, e come lo sono diventati anche in Portogallo e Svezia. Una minoranza, si dirà, dei paesi dell’Unione: ma destinata a quanto pare a tracciare il solco, e a costringere in un modo o nell’altro gli altri paesi europei a tenerne conto.
La giovane coppia, dopo le nozze alle Baleari, si è presentata in Italia: e qui il «lui» italiano ha chiesto il permesso di soggiorno per il «lui» uruguaiano, in nome della legge sui ricongiungimenti familiari. In questura, a Reggio Emilia, gli hanno detto di no, pensando banalmente che per l’Italia quella non era una famiglia, e quindi di ricongiungimento non fosse neanche il caso di parlare. Ma ora la giudice Tanasi rimette le cose a posto.

«I termini “matrimonio” e “coniuge” devono essere intesi in senso inclusivo delle coppie, sposate in un paese aderente alla convenzione, formate da persone dello stesso genere», scrive, perché così vogliono i nuovi tempi e la convenzione europea. E perché «la soluzione adottata appare conforme al diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia riconosciuto all unione affettiva tra due persone delle stesso sesso».

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