Ma ora tagliate atenei e ospedali

Ma ora tagliate atenei e ospedali

Rimane un solo compito per il governo Monti, l’unico che potrebbe farlo ricordare come il governo che ci ha tirato fuori dalla crisi. Altrimenti lo spread non scenderà man mano che si avvicinano le elezioni e tanti sacrifici saranno vani. Occorre un taglio strutturale della spesa pubblica, che attualmente rappresenta poco meno di metà del Pil, 727 miliardi di Euro, e costituisce il vero fardello per ogni speranza di riduzione del debito e di ripartenza dell’economia.
Le riforme fatte fino ad oggi sono state deboli: quella del lavoro è stata annacquata dalle resistenze a sinistra (il reintegro rimane a discrezione dei giudici e avverrà in caso di motivazioni insussistenti invece che ingiustificate: resta l’incertezza) e le liberalizzazioni sono state poco incisive (le corporazioni sono state intaccate marginalmente, o in alcuni casi lasciate proprio in pace). Difficile credere che queste misure avranno effetti importanti sulla crescita: non lo credono i mercati. D’altra parte, neanche l’aumento della tassazione ha rassicurato i mercati perché blocca la ripresa. E non è neppure tanto equo visto come sono state prese di mira automobilisti o proprietari di case e soprattutto di negozi affittati, bastonati ad ogni singolo intervento.
Per tornare un paese normale occorre accettare l’idea che non dobbiamo tassare ulteriormente spesa e proprietà privata, ma dobbiamo tagliare spesa e proprietà pubblica, da decenni al di sopra delle nostre possibilità. Anche a questo serve la spending review che sta preparando la figura di maggior esperienza istituzionale e accademica del governo, il ministro Giarda. Sarà lui a portare sul tavolo del governo la realtà: dove si può tagliare e quanto. Saranno gli altri ministri a doverne trarre le conseguenze da tecnici veri: fare a gara per ridurre le spese invece che difendere interessi di settore. Almeno una trentina di miliardi vanno tagliati, ma non possiamo fermarci alla solita spesa «improduttiva» (enti inutili, immobili sfitti da dismettere e consulenze d’oro). Quella è ovvio che va tagliata, fin troppo facile ripeterlo (e non farlo). Qua si tratta di iniziare a sforbiciare anche servizi pubblici veri, non perché siano inutili, ma perché così non ce li possiamo permettere o perché i privati possono fornirli meglio. Occorre un po’ di impopolarità, ma i tecnici sono qua proprio per «meritarsela», altrimenti abbiamo scherzato.
Qualche esempio impopolare? L’università non può essere interamente a carico della collettività: la pagano tutti, anche le famiglie povere, che tipicamente la utilizzano meno, a beneficio di quelle ricche. Rette più alte e progressive innescherebbero pure una competizione virtuosa fra atenei. Purtroppo non ci possiamo permettere nemmeno una scuola dove le famiglie pagano solo i libri di testo. L’istruzione impiega metà dei costi dell’amministrazione: c’è ancora da recuperare. Non si può nemmeno continuare con ospedali pubblici che non fanno pagare interventi e prestazioni costose neppure alle fasce più ricche (che talvolta preferiscono spendere migliaia di euro per accaparrarsi il primario in clinica privata). La sanità costituisce l’80% delle spese delle regioni, ed è drammaticamente inefficiente al Sud: uniformare i costi al ribasso è essenziale. Un altro capitolo è il taglio dei trasferimenti all’industria: meglio che lo Stato paghi in fretta i debiti alle imprese invece di elargire sussidi poco trasparenti (e questa sì che sarebbe una vera liberalizzazione). Infine, i ministeri mostruosamente sovradimensionati: occorre ridurre l’organico e razionalizzare gli acquisti. Per nostra fortuna, la spending review è in mano al massimo esperto di spesa pubblica e federalismo fiscale che abbiamo in Italia e alcuni timidi segnali da parte di alcuni ministri sembrano andare nella direzione giusta.
Non abbiamo citato i costi della politica, ma sarebbe troppo facile. Ora è tempo di riforme più difficili, che Monti deve percorrere sotto l’attento controllo del viceministro Vittorio Grilli (nella foto).

Pochi sanno che, prima di diventare un uomo di stato, Grilli divenne famoso in ambito accademico per aver dimostrato come fosse più semplice fare grandi riforme in tempi di crisi piuttosto che di boom. È ora che il governo dei professori dia un po’ di evidenza empirica alla sua teoria.
* Ordinario di Economia Politica Università Ca’ Foscari

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