Orlando il conformista anticasta: dopo 27 anni si traveste da "novità"

Dalla Dc alla Rete post Tangentopoli, poi con Prodi e ora nell’Idv. Spera nel ballottaggio per sfasciare il centrosinistra di Ferrandelli

Orlando il conformista anticasta: dopo 27 anni si traveste da "novità"

La sua specialità è distruggere. Distruggere gli altri - nell’ordine la Dc, poi la sua stessa creatura, la Rete, e adesso il Pd e la sinistra - per salvare se stesso rigenerandosi, a mo’ di araba fenice, e riciclarsi come novità. Sì, perché passano gli anni, si susseguono in Italia le repubbliche, ma Leoluca Orlando è sempre lì, in campo, nel ruolo di uomo della provvidenza che va dove gira il vento e che il vento rigira a suo vantaggio, spacciandosi per homo novus, lui che è nato e cresciuto sotto l’ala di mamma Democrazia cristiana. E così, come «Il conformista» di Giorgio Gaber, «progressista al tempo stesso liberista», «un po’ controcorrente» e, perché no, anche «federalista» eccolo qui, il nuovo-vecchio Orlando già ex Dc, poi retino, poi esponente della Margherita con Prodi. Eccolo qui, nell’anno di grazia 2012, a interpretare il ruolo dell’anticasta Idv per riconquistare il trono di sindaco di Palermo che è già stato suo per 12 anni, cinque dal 1985 al 1990, con lo scudocrociato e dal 1993 al 2000, con la Rete. Un trono che lui rivendica ancora una volta. Più per scipparlo al Pd che per sé.
Passano gli anni, i problemi di Palermo si moltiplicano, ma lui, Leoluca, Luca più confidenzialmente per i fan più stretti, è sempre lì, nuovo-vecchio che avanza che cambia casacca e che la poltrona non vuol mollare, costi quel che costi. Anche la morte della sinistra a Palermo e anche oltre. Sì, perché l’unico dato certo, oltre che il ballottaggio - solo per un miracolo, con 11 candidati, Palermo potrebbe avere un sindaco a primo turno, ed è la prima volta che accade dal ’93, quando proprio Orlando fu eletto subito con la maggioranza bulgara del 75% - è che Bersani & Co., comunque vada, perderanno. Perderanno se si verificherà quella che tanti pensano sia l’ipotesi più probabile, un ballottaggio tra lo stesso Orlando e il suo ex delfino ora sostenuto dal Pd, Fabrizio Ferrandelli; perderanno se il solo Ferrandelli andrà al ballottaggio, perché senza spaccature la sinistra avrebbe potuto vincere a primo turno; e perderanno se nessuno dei candidati della sinistra andrà al ballottaggio con uno dei tre aspiranti sindaci del centrodestra, Massimo Costa (Pdl e Udc), il più quotato, Alessandro Aricò (Api e Fli) e Marianna Caronia (Cantiere popolare, il Pid dei centristi dell’ex ministro Saverio Romano). Tutto grazie al «conformista» alla Gaber Orlando, che ha giocato a sfasciare sin dalle primarie del centrosinistra con l’obiettivo unico di tornare a essere «Sinnaco Ollando», come dicono i palermitani.
«Ventisei partiti, un solo sindaco, Leoluca Orlando. Palermo vince al primo turno» è il santino elettorale-invito subliminale al voto disgiunto circolato negli ultimi giorni di campagna elettorale. Traduzione: votate pure il partito che volete, ma di sindaco di Palermo ce n’è uno e sono io. E ieri lui, Orlando, che come dice lo slogan della sua campagna, «il sindaco lo sa fare», ha posato diligentemente per le foto di rito con urna elettorale: basette grigie, valigie più che borse sotto gli occhi, tradizionali dita a «v» in segno di vittoria. Che non vince, questa volta, lo sa anche lui. Già è molto se riuscirà a superare il primo turno.

E anche se andrà al ballottaggio, paradossalmente non sarà per il suo presente di anti-politico ma per il suo passato di ex sindaco. Ha basato tutta la sua campagna elettorale su questo, Orlando, persino le gag della festa finale di chiusura. Una rappresentazione plastica del «tutto cambi perché nulla cambi» di gattopardiana memoria.

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