La sua specialità è distruggere. Distruggere gli altri - nell’ordine la Dc, poi la sua stessa creatura, la Rete, e adesso il Pd e la sinistra - per salvare se stesso rigenerandosi, a mo’ di araba fenice, e riciclarsi come novità. Sì, perché passano gli anni, si susseguono in Italia le repubbliche, ma Leoluca Orlando è sempre lì, in campo, nel ruolo di uomo della provvidenza che va dove gira il vento e che il vento rigira a suo vantaggio, spacciandosi per homo novus, lui che è nato e cresciuto sotto l’ala di mamma Democrazia cristiana. E così, come «Il conformista» di Giorgio Gaber, «progressista al tempo stesso liberista», «un po’ controcorrente» e, perché no, anche «federalista» eccolo qui, il nuovo-vecchio Orlando già ex Dc, poi retino, poi esponente della Margherita con Prodi. Eccolo qui, nell’anno di grazia 2012, a interpretare il ruolo dell’anticasta Idv per riconquistare il trono di sindaco di Palermo che è già stato suo per 12 anni, cinque dal 1985 al 1990, con lo scudocrociato e dal 1993 al 2000, con la Rete. Un trono che lui rivendica ancora una volta. Più per scipparlo al Pd che per sé.
Passano gli anni, i problemi di Palermo si moltiplicano, ma lui, Leoluca, Luca più confidenzialmente per i fan più stretti, è sempre lì, nuovo-vecchio che avanza che cambia casacca e che la poltrona non vuol mollare, costi quel che costi. Anche la morte della sinistra a Palermo e anche oltre. Sì, perché l’unico dato certo, oltre che il ballottaggio - solo per un miracolo, con 11 candidati, Palermo potrebbe avere un sindaco a primo turno, ed è la prima volta che accade dal ’93, quando proprio Orlando fu eletto subito con la maggioranza bulgara del 75% - è che Bersani & Co., comunque vada, perderanno. Perderanno se si verificherà quella che tanti pensano sia l’ipotesi più probabile, un ballottaggio tra lo stesso Orlando e il suo ex delfino ora sostenuto dal Pd, Fabrizio Ferrandelli; perderanno se il solo Ferrandelli andrà al ballottaggio, perché senza spaccature la sinistra avrebbe potuto vincere a primo turno; e perderanno se nessuno dei candidati della sinistra andrà al ballottaggio con uno dei tre aspiranti sindaci del centrodestra, Massimo Costa (Pdl e Udc), il più quotato, Alessandro Aricò (Api e Fli) e Marianna Caronia (Cantiere popolare, il Pid dei centristi dell’ex ministro Saverio Romano). Tutto grazie al «conformista» alla Gaber Orlando, che ha giocato a sfasciare sin dalle primarie del centrosinistra con l’obiettivo unico di tornare a essere «Sinnaco Ollando», come dicono i palermitani.
«Ventisei partiti, un solo sindaco, Leoluca Orlando. Palermo vince al primo turno» è il santino elettorale-invito subliminale al voto disgiunto circolato negli ultimi giorni di campagna elettorale. Traduzione: votate pure il partito che volete, ma di sindaco di Palermo ce n’è uno e sono io. E ieri lui, Orlando, che come dice lo slogan della sua campagna, «il sindaco lo sa fare», ha posato diligentemente per le foto di rito con urna elettorale: basette grigie, valigie più che borse sotto gli occhi, tradizionali dita a «v» in segno di vittoria. Che non vince, questa volta, lo sa anche lui. Già è molto se riuscirà a superare il primo turno.
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