La parolaccia sì, ma solo se è di sinistra

La questione non è etico-morale ma squisitamente linguistica. Quali sono le parolacce politicamente corrette?

Franco Battiato dopo il suo intervento all'Europarlamento
Franco Battiato dopo il suo intervento all'Europarlamento

Dentro e fuori Montecitorio, se lo chiedono tutti. Perché Franco Battiato commette un grave errore dicendo che ci sono «troie in giro per il Parlamento», mentre Beppe Grillo può correttamente chiamare i leader politici «padri puttanieri»? Puttane-puttanieri-puttaniere, forse anche bottane-bottane industriali-bottane-parlamentari, sì. Ma «troie», no. «Trofie», forse sarebbe passato indenne, se l'avesse detto Grillo, che è di Genova. E «trote», è assolutamente legittimo, se riferito alle fidanzate del figlio di Bossi, essendo il Trota. Ma la questione non è, come si capisce, etico-morale (da tempo etica e morale sono considerate ineleggibili). Ma squisitamente linguistica. Quali sono - ecco il punto - le parolacce politicamente corrette? Esistono insulti bipartisan? Quali sono le ingiurie che possono essere varate all'unanimità, e quali no? Vaiassa, nella variante più colta vajassa, è un turpiloquio «alto», una rarità filologica, pregna di riferimenti letterari e sociali, quindi da usarsi tranquillamente. Tipica espressione dispregiativa napoletana utilizzata in pubblico la prima volta nel XVII secolo dal poeta dialettale Giulio Cesare Cortese che pensava alle servette, e l'ultima nel 2010 in un'intervista al Mattino dal ministro Mara Carfagna che aveva in mente l'onorevole Alessandra Mussolini, vaiassa è ormai espressione entrata nel dizionario delle buone maniere parlamentari e giornalistiche. Da cui la locuzione benaugurale per tutte le giovani deputate napoletane che si siedono per la prima volta sugli scranni di Montecitorio: «Vai vai, vaiassa!». Al contrario, assolutamente da cassare, Costituzione alla mano, il turpiloquio padano, frutto di una pericolosa coprolalia genetica tipica dei popoli barbarici, e in particolare le espressioni, ancorché singolari, come «Noi ce l'abbiamo duro» e «Col tricolore mi ci spazzo il culo!». Locuzione nella quale non c'è chi non veda l'uso scorretto del verbo «spazzare» in luogo di un più appropriato «pulire». Curiosa invece la discriminante politico-temporale che distingue un utilizzo assolutamente inaccettabile socialmente, oltre che grammaticalmente, dell'espressione resa famosa dal ministro Renato Brunetta - «Élite di merda, che vadano a morire ammazzate» - dall'utilizzo invece pedagogico e moralmente esemplare di un più consono sinonimo utilizzato da Gianfranco Fini il quale, incontrando alla Camera un gruppo di ragazzi extracomunitari, definì «Stronzo chi discrimina gli stranieri», unanimemente applaudito da dotti linguisti e giornalisti leccaculo in quanto l'espressione, altrimenti deprecabile, fu usata dopo lo strappo con Berlusconi. Il quale invece non potrà mai farsi perdonare il giudizio filologicamente disinvolto attribuito alla stampa italiana «che sputtana il Paese» (molto più corretta e efficace semmai la formulazione dell'onorevole D'Alema declinata al singolare verso un giornalista: «Vada a farsi fottere, mascalzone») e tanto meno dall'uso del raccapricciante seppur colorito aggettivo qualificativo «Coglioni!» dato dal Cavaliere agli elettori di sinistra. Errore da matita blu.

Accettabile, invece, in quanto da matita rossa, la proposizione filosofica «La destra italiana è una cosa che non appartiene agli esseri umani». Che, essendo stata usata da un maestro, quale è Franco Battiato, da oggi, in sprezzo alla logica, fa scuola.

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