Egregio dottor Feltri, come al solito ho apprezzato il suo fondo di giovedì a proposito di un futuro con Bersani (o simili)che spingerebbe l’Italia sul percorso che sta praticando Hollande in Francia. Ma, purtroppo, la destra cosa propone come alternativa? Io vorrei votare «per» e non «contro», ma non vedo niente all’orizzonte che possa sostituire il defunto Pdl. Mi auguro che il futuro non si chiami Bersani, Vendola, Grillo, Casini o, peggio ancora, Monti, ma che alternative abbiamo? Santanchè, Meloni, Alfano e compagnia? Ai tempi di Montanelli ci si doveva turare il naso, ma ora non abbiamo più nemmeno il naso!
Fabio Fortina
Caro Fortina, la sua lettera intercetta un sentimento molto diffuso: incertezza, preoccupazione, stupore. Il centrodestra, maggioritario in Italia dal dopoguerra a oggi, non è più in grado di offrire agli elettori un tetto sotto il quale ripararsi. In poco più di un anno il Pdl è passato da quasi il 40 per cento dei consensi a (secondo sondaggi aggiornati) poco meno del 15 per cento. Qual è la causa della débâcle? Il fallimento della sua politica determinato da molteplici fattori. Cerchiamo di esaminarli.
Silvio Berlusconi si convinse, nel 2008, che fosse necessario superare la fase delle coalizioni (Forza Italia, Udc e An) e formare un partito unico, coeso, forte, con un programma condiviso. Il piano fu subito respinto da Pier Ferdinando Casini, che difatti si defilò presentandosi alle elezioni di quell’anno in perfetta solitudine,animato dalla speranza di diventare l’ago della bilancia, cioè un partito non schierato in partenza, ma pronto a schierarsi nel proprio interesse.
Gianfranco Fini, dapprima fu tentato di fare altrettanto, andandosene per conto proprio con Alleanza nazionale. Ma subito ci ripensò,e aderì all’invito del Cavaliere, fondendo An con Forza Italia. Fu un matrimonio sbagliato. Ben presto cominciarono i litigi, le incomprensioni, i dispetti reciproci e le ripicche. Come sempre accade fra coniugi intenti a bisticciare, non ce n’è uno che abbia tutti i torti o tutte le ragioni. Incompatibilità di carattere? Ormai non serve stabilire quale fosse il problema che impediva una convivenza serena. Sta di fatto che fu separazione.
Il declino del Pdl iniziò così. La maggioranza che sosteneva il governo si assottigliò al punto da richiedere puntelli per non crollare. I puntelli vennero raccattati qua e là nelle zone del Parlamento in cui pullulavano gli scontenti dell’opposizione. Il premier fu accusato di aver ingaggiato, o addirittura comprato, avversari traditori. Le solite polemiche accompagnarono l’operazione. L’esecutivo tirò a campare qualche mese, sempre col terrore di inciampare, e non riuscì più a realizzare nemmeno in parte il programma che si era prefisso. La disillusione dell’elettorato cosiddetto moderato (impropriamente) fu immediata. E il declino, complici la crisi economica, lo spread impazzito, il debito pubblico inarrestabile e le reprimende dell’Ue, fu rapido.
Probabilmente Berlusconi avrebbe fatto meglio a sollecitare lo scioglimento delle Camere e a chiedere elezioni anticipate. Non lo fece, forse sperando di poter raddrizzare la baracca. Che invece si ribaltò. A questo punto non c’era scelta:bisognava ricorrere al gabinetto tecnico, le cui «prodezze » conosciamo: il debito pubblico è aumentato, la disoccupazione pure, le tasse idem; mentre i consumi e il Pil sono scesi al minimo storico. Nonostante ciò, Mario Monti- indagini demoscopiche alla mano- è preferito dai cittadini a qualunque presidente del Consiglio politico. Perché? Non fa cucù alla Merkel, non organizza feste «eleganti », ma assiste alla santa messa. Non frequenta le olgettine né si tuffa nelle orgettine.
Tuttavia il Professore e il Cavaliere hanno qualcosa in comune: entrambi raccontano barzellette. Il primo vede,un giorno sì e l’altro pure,una luce in fondo al tunnel che, in realtà, è un lumino cimiteriale, e fa piangere gli italiani. Il Cavaliere, con le sue storielle grassocce, li vorrebbe far ridere, ma non ci riesce perché il Paese è affranto, praticamente morto di fame e poco disposto ad apprezzare amenità da bar Sport. Intanto, la situazione precipita e con essa la fiducia del popolo nei partiti. Il quale popolo non sa a che santo votarsi. I progressisti, poveracci, da quando non credono più nel sol dell’avvenire, hanno ripiegato su Pier Luigi Bersani. Sono ridotti male. I tifosi di Pier Ferdinando Casini sono talmente pochi da tenere il prossimo congresso in una cabina del telefono dismessa. I sostenitori di Nichi Vendola dove sono? Non ne ho mai incontrato uno, forse perché scendo raramente a Bari e dintorni.
Poi c’è Beppe Grillo.Mi dicono che si è immedesimato nel ruolo di leader carismatico, se non di ideologo a caccia di idee, e ciò spaventa: se anche lui si mette a fare il politico serio scappa la voglia di dargli il suffragio. Di tromboni ne abbiamo già tanti. E allora? Nonostante le legnate che ha preso, il Pdl dà ancora qualche segno di vita. Se Alfano insiste con le primarie, però, il partito tirerà davvero le cuoia. La gente non comprende il senso di questo gioco al massacro per eleggere un candidato premier che non sarà mai premier. Se i sederi sono più numerosi delle sedie è giunto il momento di riflettere, non di buttarsi in una lotta fratricida.
Esaminata la situazione, fatti i conti con la nausea degli elettori, considerata la dimensione del fenomeno astensioni (e schede bianche), è facile prevedere che dalle urne, nel 2013, sortirà un risultato talmente desolante da imporre al vincitore (si fa per dire) la necessità di costituire una maggioranza simile all’attuale, un’ammucchiata,e di chiamare un tecnico, del tipo di Monti, a guidare l’Italia.
Ecco perché,caro Fortina,non potendoci turare il naso come all’epoca di Montanelli, ci converrà turare qualcos’altro, se siamo ancora in tempo. Auguri.
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