Perché la destra che ha successo fa sempre schifo

Dalla tv alla cultura c'è una minoranza radical chic che vuole sempre dare lezioni di democrazia alla maggioranza

Perché la destra che ha successo fa sempre schifo

Matteo Renzi, che infatti non è di quelli, li ha spazzati via dicendo che i loro atteggiamenti denotano una sudditanza culturale e psicologica verso l'avversario, anzi il nemico. Sono quelli che dicono che «siccome piace a Berlusconi, questa cosa non si deve fare...». Ecco chi sono quelli: sono i peggiori di quelli che si credono sempre migliori. La minoranza che dà lezioni di democrazia alla maggioranza.

Sono quelli come Andrea Scanzi, che scrivono sul Fatto quotidiano, e siccome tu scrivi su Panorama allora, mi spiace, non sono tuo collega, anzi ti do del «Lei» per marcare la distanza antropologica: «Non sono un Suo collega». Mi spiace dirtelo: mi fai schifo, anche se sei mio collega.

Sono quelli sempre al posto giusto, e riescono sempre bene di profilo. Sono quelli che quando Gad Lerner si fa fotografare in boxer accanto a De Benedetti, è un intellettuale hipster, e quando Toti appare in tuta con Berlusconi è un cretino. Paolo Liguori decidendo con (auto)ironia di andare in onda con una tuta bianca, ha colto nel segno: «Se la indossa Obama è un genio, se la mette Toti un indumento infamante». A proposito di stile. Viene in mente quel commentatore chic che disse: «De Gasperi non si sarebbe mai messo la bandana». La risposta migliore fu: «Neanche la tutina attillata», allegando la foto di Prodi con bicicletta da corsa.

Sono i soliti noti che schifano tutto ciò che gli è ignoto, e non vogliono conoscere. «Tu non sei come me, io sono migliore. Non ti conosco, e non ti voglio neppure incontrare». E infatti si incontrano sempre fra loro, stessa spiaggia stessi salotti, di solito sulla tratta Repubblica-Feltrinelli-La7-Raitre. Tipo: tu spaparanzato sull'Amaca del grande quotidiano scrivi un libro sugli Sdraiati, in cui da ex sessantottino ti riscopri padre conservatore, e io ti faccio accomodare nel mio talk show e ti «lancio» la serata con un account su Twitter gestito da mio marito giornalista che dirige un sito in cui posta i video del mio programma con Dario Fo... Le invasioni dogmatiche.

Sono quelli che, dogmaticamente, sugli stessi giornali e negli stessi studi tv, scrivono e dicono che Piazza pulita di Corrado Formigli, che ieri ha fatto il cinque per cento, è «una trasmissione di successo», mentre quella di Del Debbio, che ieri ha fatto il sei e mezzo, dicono che è... Anzi non dicono niente, non ne scrivono neanche, perché «Dài, è su Rete4...». E se anche è Raidue, ma sei vicedirettore del Giornale, è uguale. «Dài, parliamo di Renzi che è andato dalla Bignardi...». «Ma è stato anche a Virus!?!». «Sì, ma dài, non è la stessa cosa...».

Non è mai la stessa cosa. È sempre una questione di profilo, destro o sinistro. Anche la Mondadori è così: vista dal lato azionista del Giornale è un po' volgare, ma vista dal lato Einaudi è chic. E infatti la consacrazione mediatica, come la popolarità, non è data dagli indici di ascolto, o dalle copie vendute. Al netto della professionalità, dipende da che tuta ti metti. Da una parte gli eleganti che sfilato sul red set, quelli che fanno la cultura alta, le trasmissioni impegnate, l'informazione, i giornali obiettivi. Dall'altra gli impresentabili che fanno la cultura bassa, le quinte colonne del berlusconismo, l'intrattenimento tette-e-culi, il gossip, o la macchina del fango, a seconda. E se qualcuno - in tv o nel giornalismo o in letteratura - prova a infrangere la barriera, o a saltarla, lo guardano schifati: «Ma come ti permetti?».

Ma che Italia è questa che guarda Del Debbio? O lavora a Panorama? O scrive sul Giornale? Sono le domande che si fanno quelli, in minoranza di voti e di share, che vogliono sempre dettare le regole del gioco e del buon gusto. Arbiter elegantiarum di un'Italia che li sta fischiando.

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