Cronache

Le piante ci "comprendono" Ora lo dice anche la scienza

Noi, amanti dei vegetali, lo avevamo sempre saputo. E il pensiero va  all'agave che fiorì nel giorno dei funerali della donna che l'aveva curata

Le piante ci "comprendono" Ora lo dice anche la scienza

Tu la guardi, nel suo vasetto di plastica, appena acquistata, magari sullo scaffale di un supermercato dove ha dovuto sopportare luce artificiale e temperature inadeguate. Lei, la piantina, è immobile e muta, eppure tu la senti vibrare, avverti la linfa che pulsa in lei, la vita che scorre in quelle vene che in fondo non sono poi così dissimili dalle tue. Hai l'impressione che ti ascolti.
Se questo vi sembra il delirare di un'anziana signora che ha convogliato sulla «giardinomania» impulsi e fantasie che un tempo avrebbe dedicato ad altro, vi sbagliate. Che le creature vegetali non siano inerti e prive di comunicazione, ma posseggano una sensibilità ancora tutta da esplorare, è ormai assodato. Le piante avvertono se l'ambiente è loro favorevole e questo al di là delle condizioni basilari di luce, temperatura e umidità. È noto che sperimentazioni condotte con la musica hanno accertate che certe melodie ne favoriscono la crescita mentre certi rumori le spaventano.
Ma studi recentissimi hanno acquisito informazioni che sono addirittura stupefacenti: le piante sono in grado di apprendere, cioè di ricevere ed elaborare informazioni, e soprattutto - e questa è la cosa più incredibile- di conservarne memoria. Gli esperimenti, una volta tanto, non arrivano dal Minnesota o dall'Oklahoma, bensì sono stati condotti nel Laboratorio internazionale di Neurobiologia vegetale (Linv) dell'Università di Firenze e pubblicati sull'ultimo numero della rivista «Oecologia»
È stato Stefano Mancuso, responsabile del Linv, a coordinare gli studi condotti da un gruppo di ricercatori della University of Western Australia, al secolo Monica Gagliano, Michael Renton e Martial Depczynski. In pratica sono state sottoposte a stimoli di varia natura alcune piante di «Mimosa pudica», un piccolo arbusto di origine tropicale ormai diffuso anche alle nostre latitudini che ha la prerogativa di chiudere le sue foglioline non appena qualcosa nell'ambiente circostante lo disturba. «Questa pianta - dichiara Mancuso, associato di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree del Dipartimento di Scienze delle produzioni agroalimentari dell'ateneo fiorentino - dimostra una notevole abilità nel distinguere tra i diversi stimoli e di essere capace di memorizzare le informazioni per lunghi periodi di tempo».
Ma come sono arrivati i ricercatori a queste conclusioni? «Abbiamo addestrato le piante a ignorare uno stimolo non pericoloso - ha spiegato lo studioso - come ad esempio la caduta del vaso in cui sono coltivate da un'altezza di quindici centimetri». Dopo alcune «cadute» le piante di mimosa non hanno più richiuso le foglie, dimostrandosi così anche capaci di risparmiare energia.
Ma c'è di più. «Allevando le piante in due gruppi separati - spiega ancora Stefano Mancuso - con diversa illuminazione, siamo stati in grado di accertare che quelle coltivate con minore luminosità, e quindi con minore energia, hanno appreso più rapidamente. Come se non volessero sprecare risorse energetiche». E le piante esaminate hanno dimostrato di conservare memoria delle esperienze vissute per oltre quaranta giorni.
Indubbiamente da questi studi i ricercatori potranno trarre elementi preziosi da impiegare nel campo agroalimentare, magari migliorando la resa delle colture senza ricorrere a sostanze chimiche ma semplicemente addestrando le piante a riconoscere gli insetti pericolosi e quelli amici o a reagire da sole all'attacco di malattie fungine o virali.
Ma da queste informazioni possiamo trarre anche lezioni che nulla hanno di scientifico ma che molto hanno a che fare con la sopravvivenza del mondo arboreo e, di conseguenza, con la sopravvivenza umana. Ora, il rivelarsi delle straordinarie capacità di apprendimento delle piante potrebbero condurci a riconsiderare il mondo vegetale,a guardare con attenzione anche la disprezzata «erbaccia» che combatte con l'asfalto, a capire quale sterminata ricchezza si nasconda in questo universo verde, profumato, fiorito.
Se la dilagante giardinomania odierna sia un'inconsapevole ricerca di tutto questo e una reazione alla desertificazione in atto, è presto per dirlo. Vorremmo solo suggerire che, come memorizzano informazioni, forse le piante memorizzano anche l'affetto. E ci torna in mente una trascurata notizia di qualche mese fa. Una signora di Treviso, Maura Martinelli, curava da anni un'agave americana che cresceva nel cortile condominiale, fra l'indifferenza degli inquilini. Poi la signora si ammalò e morì. E proprio nel giorno dei suoi funerali l'agave fiorì. Si sa che l'agave americana fiorisce una sola volta nella vita quando raggiunge i venti-trent'anni. L'agave di Maura Martinelli ha compiuto il suo ciclo naturale e la cacciata dello stelo fiorale ha semplicemente coinciso con la morte della signora.

Ma i condomini gridarono al miracolo e anche a noi piace pensare che la pianta abbia risposto con il suo omaggio floreale all'amore ricevuto per una vita.

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