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Il piatto indigesto di Monti: tasse record e recessione

Nel 2012 pressione fiscale da primato: schizzerà al 45,2 per cento del Pil. Economia in calo l'anno prossimo dello 0,2%. E il debito continua a galoppare

Il piatto indigesto di Monti: tasse record e recessione

Spremuti come limoni, ma non ancora abbastanza. Tasse, tasse e ancora tasse aspettano al varco gli italiani anche nel 2013. Il crescendo «montiano» soverchia perfino il fortissimo del governo Prodi, quello della pressione fiscale portata al 43,5% nel 1997 per traghettare l'Italia verso la sponda dell'euro. Adesso che s'insegue il pareggio di bilancio nonostante la tagliola della recessione, i consumi privati in picchiata e la disoccupazione galoppante, il mezzo per tagliare il traguardo è quello antico, quello di sempre: aumentare il carico sui contribuenti.

Affogate nel mare magnum della Nota di aggiornamento del Def, il Documento economico di finanza del governo, ci sono alcune cifre che fanno apparire surreale il dibattito delle scorse settimane sulla necessità di alleggerire le aliquote. I numeri del documento raccontano invece un'altra verità. Questa: la pressione fiscale, già destinata a lievitare come un palloncino quest'anno (raggiungerà il 44,7% del Pil), salirà ancora l'anno prossimo fino a toccare il 45,3%. E continuerà a prosciugare le tasche dei contribuenti anche nel 2014 (44,8%) e nel 2015 (44,6%). Sempre che la crisi si decida a finire. È opportuno sottolineare, con tanto di biro rossa, il rapporto tra il gettito complessivo e l'intera ricchezza nazionale (il Pil), in cui viene conteggiato anche un 17,5% di sommerso. Ciò significa una sola cosa: la pressione fiscale effettiva è ben più elevata, e costituisce un autentico maglio distruttivo per famiglie e imprese.

La sete del fisco prosciuga infatti la capacità di spesa dei contribuenti e taglia le gambe alle aziende, meno competitive rispetto a quelle straniere in quanto costrette ad alzare i prezzi per recuperare margini assottigliati dalle tasse. Lo stesso Def presenta un quadro da terra desolata. I consumi sono ormai desertificati: nel 2012 la spesa delle famiglie diminuirà del 3,3% e l'anno prossimo dello 0,5%. La spinta a spendere si ripresenterà solo nel 2014 con un modesto +0,6%, seguito da un altrettanto asfittico +0,8% nel 2015. Difficile del resto ipotizzare uno scenario diverso se solo si dà un'occhiata a quel bollettino di guerra che arriva dai dati sul tasso di disoccupazione, destinato a balzare al 10,8% a fine dicembre (10,7% lo scorso luglio), per poi aumentare all'11,4% l'anno prossimo.

E le imprese? Soffrono. La tensione sugli spread ha avuto un doppio effetto nefasto: da un lato, ha costretto le banche a subire l'aumento dei «costi di approvvigionamento»; dall'altro, proprio a causa dell'inasprimento di questi costi, «la crescita dell'offerta di credito al settore privato è rallentata fino a dare segnali di contrazione». Il cosiddetto credit crunch.

È evidente che un Paese in queste condizioni fatica a ritrovare la via della ripresa. Il governo ammette infatti che anche il 2013 sarà segnato dalla recessione, con un calo del Pil pari allo 0,2% (+0,5% la previsione dello scorso aprile) dopo il -2,4% di quest'anno. Nella Nota del Def si fa però notare che la contrazione prevista nel 2013 è dovuta all'effetto di trascinamento negativo di questo 2012 di dura recessione. Senza tale fenomeno, «la variazione trimestrale del Pil inizierebbe ad essere positiva già a partire dal primo trimestre». La realtà è comunque un'altra: quel -0,2%, peraltro subito contestato dalla Confindustria (il Centro studi stima un -0,5%), conferma che la luce in fondo al tunnel non si vede, che le “code“ recessive sono anch'esse figlie del rigore imposto dal governo e che l'appuntamento con la crescita è rimandato a tempi migliori. Al 2014 (crescita dell'1,1%) e al 2015 (+1,3%), quando - forse - le riforme e il risanamento dei conti pubblici (il disavanzo, non il debito) avranno cominciato a dispiegare i loro effetti.

Per ora, è opportuno chiedersi se e quanto siano serviti i sacrifici fatti. Il sentiero di rientro dal debito è infatti tutto in salita: calcolando anche l'impatto degli aiuti ai partner europei, il rapporto col Pil sarà al 127,1% nel 2013, al 125,1% l'anno dopo e al 122,9% nel 2015. Il governo punta ad abbattere l'indebitamento al 116,1% nel 2016 per effetto della vendita del patrimonio dello Stato. Si vedrà. Nel frattempo, l'Italia ha pagato quest'anno otto miliardi in più di interessi sul debito. E gli 86,119 miliardi del 2012 diventeranno 89,2 nel 2013 e addirittura 105,4 nel 2015.

Insomma, c'è poco da stare allegri.

Anche se il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schauble, si fa sponsor di un Monti-bis: «Ho la ferma speranza che la strada di successo intrapresa da Mario Monti proseguirà coerentemente anche dopo le elezioni».

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