Pier Luigi alza bandiera bianca ma resta aggrappato al Colle

Il segretario democratico non è riuscito a trovare una maggioranza credibile E invece di ammettere la sconfitta ora spera che il capo dello Stato lavori per lui

Pier Luigi alza bandiera bianca ma resta aggrappato al Colle

È una sorta di «onore delle armi», quello che Giorgio Napolitano ha voluto concedere a Pier Luigi Bersani nel momento forse più drammatico della sua carriera politica. Così, nel Pd, si spiega a sera quella plateale, gigantesca omissione di una parolina («rinuncia») che tutti si aspettavano di sentire al termine del colloquio al Colle.

Un onore delle armi reso ad un segretario e premier incaricato (o almeno pre-incaricato) che, dietro le porte chiuse dello studio alla Vetrata, ha dovuto «alzare bandiera bianca», come sintetizza un esponente del suo partito, spiegare che i famosi «numeri certi» per fare un governo non si sono trovati da nessuna parte, che «la situazione è di totale stallo», che davanti si è trovato solo «preclusioni» (dai grillini) e «condizioni inaccettabili» (da Berlusconi, che vuole esser lui a proporre una rosa di nomi per il Quirinale). Napolitano si è incaricato di fare lui un supplemento di indagini, e di verificare nel contempo se - con un altro nome - la situazione può prendere una diversa piega.

Il colloquio, raccontano fonti sia del Quirinale che del Pd, in realtà non è stato così burrascoso come molti avevano pensato vedendo il viso scurissimo e tirato di Bersani all'uscita: «Il segretario del Pd non ha messo veti né dato ultimatum né chiesto dilazioni dell'incarico o tentato forzature». Non ha insistito per una conferma dell'incarico e un rinvio alle Camere: «Non ce ne erano le condizioni»; constatano i suoi. Secondo altre fonti invece il braccio di ferro c'è stato, il tentativo di farsi rinviare alle Camere per cercare lì i numeri (o per farsi bocciare e restare alla guida di un governo elettorale) c'è stato eccome, ma ha trovato un muro invalicabile in Napolitano.

Ma di certo le formule ambigue e circonvolute che sono state usate al termine dell'incontro («esito non risolutivo», «ulteriori accertamenti») hanno mandato in confusione i giornalisti presenti, l'agenzia Ansa che ha prima lanciato il flash: «Bersani rinuncia» e poi ritrattato, e pure gli esponenti del Pd appesi alla diretta tv. Perché l'annuncio atteso (la «rinuncia») non è arrivato, e anzi, dallo staff del segretario è arrivata pronta una precisazione: «Non ha rinunciato, e come avete visto nel comunicato del Colle la parola non c'era». A dire che il re è nudo ci ha pensato però Laura Puppato, l'unica esponente Pd che ieri abbia dichiarato: «Provo un profondo dispiacere per Bersani, ma prendiamo atto che i numeri non ci sono e a questo punto facciamo un passo di lato».

Una cosa è certa: non può essere Bersani a pilotare il Pd in una direzione - quella che ai più, in casa sua, appare inevitabile - opposta a quella su cui lui lo ha attestato. Dunque il «passo di lato» è inevitabile: «Vedrete che già domani Napolitano darà l'incarico ad un altro, e si farà un governo a maggioranza Pd-Pdl che durerà fino alle Europee», prevedeva un importante dirigente di Sel mentre il segretario Pd saliva al Colle. I fedelissimi di Bersani e la sinistra del Pd pensa invece che la linea di resistenza contro «una maggioranza politica Pd-Pdl» debba restare ferma: «Dal Pd non arriverà alcuna collaborazione a nessun'altra ipotesi di governo», dice uno dei «giovani turchi».

Ma è una linea che rischia di saltare molto presto, e la discesa in campo di Napolitano servirà anche a testarla: «Il partito, anche nelle ultime due recentissime direzioni, non ha mai sancito che la linea era “o Bersani o morte”», fa notare un dirigente. «Se Bersani, dopo questa infinita melina, prova a schierare il Pd sulla linea “elezioni o niente” qui salta tutto», prevede un renziano.

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