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Pollari, è guerra tra gli 007. Traballa il segreto di Stato

Dopo la decisione della Corte d'Appello di Milano di acquisire i documenti secretati da tre governi si rischia la fuga di notizie su informazioni riservate

Pollari, è guerra tra gli 007. Traballa il segreto di Stato

Nomi, cognomi, indirizzi, reparti e riunioni del Sismi vengono snocciolati come se nulla fosse nell'aula del processo per il rapimento Abu Omar: come se si trattasse del club di Topolino e non di un servizio segreto.

La decisione della Corte d'appello di Milano di acquisire al processo i documenti che tre governi consecutivi (Prodi, Berlusconi, Monti) avevano coperto col segreto di Stato, segreto confermato dalla Corte Costituzionale, ha rotto gli argini. I cinque imputati, tutti uomini o ex uomini del Sismi, per potersi difendere dall'accusa di avere aiutato la Cia a rapire l'imam estremista della moschea milanese di via Quaranta si ritengono di fatto anche loro sciolti dal segreto: e attraverso i loro difensori, per cercare di evitare una condanna che si annuncia pesante, alzano a loro volta il velo su una quantità notevole di notizie interne al «servizio».
Ne risulta una discovery in pubblica udienza della vita della nostra intelligence. Ma ne risulta anche uno scontro assai aspro tra le nostre forze di sicurezza e di polizia. Perché i cinque 007 accusati rilanciano la palla contro i poliziotti della Digos, il Ros dei carabinieri, e verso altri pezzi della nostra intelligence.

Vero? Falso? A quasi dieci anni di distanza dai fatti, rispondere si presenta arduo. Di sicuro quello che si svolge in aula è uno spettacolo disarmante. E ad osservarlo si capisce perché appena pochi giorni fa il governo Monti avesse cercato di mettere una toppa a tutta la faccenda, confermando la copertura del segreto di Stato sull'intera vicenda, e dando atto che gli agenti del Sismi avevano agito per fini istituzionali nell'ambito della lotta al terrorismo islamico. Ma la Corte d'appello non se ne è data per intesa, ed ecco che la battaglia interna all'intelligence va in scena a porte aperte.

Ad aprire le ostilità è Titta Madia, difensore dell'ex direttore del Sismi, il generale Niccolò Pollari: che spiega ai giudici, senza tanti giri di parole, che la Cia non aveva alcun bisogno, in realtà, della collaborazione del Sismi per individuare e fare sparire Abu Omar, perché aveva già chi la aiutava sia tra i carabinieri che nella Digos milanese, che da tempo indagava sull'imam in odore di terrorismo.

E a rincarare la dose arriva Luigi Panella, avvocato dell'ex capo del controspionaggio Marco Mancini, che ricorda come lo stesso supertestimone della Procura, l'ex capocentro Sismi Stefano D'Ambrisio, indicasse in realtà nella divisione Operazioni del Sismi la struttura che aveva fatto per conto degli americani i sopralluoghi nella zona della moschea di viale Jenner. Sono piste alternative che ben difficilmente potranno essere esplorate: perché sono passati dieci anni; perché chiamano in causa la stessa forza di polizia, la Digos milanese, che sul sequestro Abu Omar ha indagato per conto della Procura della Repubblica; e perché il capo della divisione operazioni del Sismi all'epoca dei fatti è morto, e morto - in circostanze drammatiche, ucciso da un soldato Usa a Baghdad poco dopo la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena - è anche il suo successore, Nicola Calipari. «Non vogliamo gettare sospetti su nessuno, indichiamo solo dei fatti», dice il difensore di Pollari.


E torna a parlare della decisione della Digos milanese di sospendere il pedinamento di Abu Omar pochi giorni prima del rapimento da parte della Cia.

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