Pompei muore e Bondi non c'entra
9 Settembre 2012 - 15:32La "città di lava" è il simbolo del nostro patrimonio di bellezze: trattato come un parcheggio per disoccupati o un’occasione per regalare appalti
Pompei dodicimila, Louvre ventiquattromila. Sono il numero di visitatori al giorno e forse la risposta è tutta qui. Non sai come tutto ciò sia avvenuto, ma una cosa è certa: stiamo facendo marcire l’immortalità. Quel 24 agosto dell’anno 79 il Vesuvio cristallizzò una città ed è stato come fermare un attimo, come rubare al tempo il momento esatto della morte, per poi nasconderlo e lasciarlo sepolto sotto una coltre di cenere e lapilli per secoli. Non c’è nulla che sia paragonabile alla tragica magia di Pompei e di Ercolano. Neppure la Gioconda, con il suo sorriso enigmatico. Non c’è Parigi.Non ci sono le mummie rapite da Napoleone in Egitto.
Non c’è Stonehenge o le rovine Inca di Machu Picchu. Non basta neppure lo spazio bianco lasciato dalle Twin Towers nel cuore della capitale del mondo. Perfino il Colosseo di fronte a Pompei resta solo un monumento, dove il sangue dei gladiatori può essere ricostruito in digitale e i passi dei martiri cristiani puoi evocarli nella suggestione di certi notti d’estate, ma restano un bagliore senza massa e senza materia. Pompei no. Pompei sta lì, con i corpi sorpresi nel sonno, con le frasi d’amore e di sesso dei clienti sulle pareti dei bordelli, con la fuga impossibile degli schiavi e dei padroni, con la vita quotidiana che ti si para davanti. Pompei non è una città morta. È un attimo che si ripete all’infinito. Eppure sta marcendo. Sta marcendo la villa più visitata, con il suo fascino esoterico e divinatorio.
Come fa a cadere una trave nella villa dei misteri?Significa che ci sono infiltrazioni d’acqua di cui nessuno si cura.
Significa che Napoli e l’Italia non si meritano Pompei. È come avere in squadra Maradona e lasciare che si droghi, che vada alla deriva, che si consumi dentro. Solo che Pompei è più innocente di Diego. Adesso tutti ricominceranno a dire di chi è la colpa. Cercheranno il capro espiatorio. Era facilissimo quando c’era Bondi al ministero dei Beni culturali, tanto è vero che improvvisati moralisti dell’estetica ne hanno chiesto subito le dimissioni. Solo che i guai di Pompei e di tutto il patrimonio di arte, storia e bellezza di questa cosa chiamata Italia sono un bel po’ più grandi di Bondi. Pompei è solo il simbolo più evidente. Il biglietto d’ingresso costa 11 euro, uno in meno del Louvre, e fa la metà di visitatori. Questo vale anche per i musei italiani. Gli Uffizi impallidiscono rispetto alle masse del Louvre o della National Gallery a Londra o del Metropolitan di New York.Non c’è nessun museo italiano nella top ten dei più visitati. I più competitivi sono i Musei Vaticani e sono roba del Papa. Il museo di Taipei sta messo meglio dei nostri. La verità è che gli italiani continuano a cianciare di questo meraviglioso museo a cielo aperto, ma la verità è che non lo sappiamo raccontare.
Gli americani che vanno a Pompei restano delusi. Le statistiche dicono che nessuno di loro torna. Sognano Spartacus e trovano un deserto di burocrati. È colpa di Bondi? È colpa di Galan? È colpa di Ornaghi? È colpa di chi c’è stato prima? Troppo facile. I ministri sembrano i primi prigionieri di un ministero sbagliato. Il ministero dei Beni culturali in un posto come l’Italia, se davvero è così meraviglioso, dovrebbe avere lo stesso peso politico di un dicastero economico. E invece i suoi boiardi si accontentano di dispensare privilegi e denari pubblici ai loro clientes. È un ministero che nasce dall’idea che il compito dello Stato sia quello di far campare artisti, cantanti, attori, registi, saltimbanchi di questa o quella corrente, di questo o quel partito, amici diamici che elemosinano milioni di euro al mecenate pubblico di turno. Bisogna dire che la cultura di sinistra in questo di solito è più brava. L’intuizione di Togliatti, spacciata per filosofia gramsciana, ha dato i suoi frutti. Gli intellettuali si comprano. Basta finanziare le loro illusioni. La destra in questo è più rozza.
Non li compra perché non sa che farsene. Tutte e due le culture, comunque, non riescono a immaginare la bellezza come una ricchezza della nazione. E se un privato si mette in testa di fare il mecenate trova tanti ostacoli burocratici da spazientirsi in fretta. Abbiamo venduto il marchio Colosseo ai Della Valle ma adesso gli rompiamo le scatole sul restauro. Forse era meglio non vendergli il marchio e fargli fare il restauro. Ma a quanto pare non siamo più bravi mercanti.
A questo punto bisogna scegliere cosa fare di Pompei. In teoria la «città di lava» dovrebbe finanziare tutta la cultura italiana, di fatto stiamo qui a chiederci dove trovare i soldi per restaurarla o per fare altri scavi. Se ci pensate non è normale che lo Stato debba preoccuparsi di trovare i soldi per Pompei. Il fatto che accada è un fallimento imprenditoriale.
Per troppi e troppi anni Pompei, e le altre meraviglie, sono state trattate come un parcheggio per disoccupati o occasioni per regalare appalti. Come per altre cose ne paghiamo adesso le conseguenze. Bisognerebbe avere il coraggio di venderla ai cinesi o ai russi. O trasformarla in una sorta di Disneyland dell’antichità senza bisogno di effetti speciali. Topi e paperi a Parigi fanno più di 40mila visitatori al giorno. E senza l’aiuto del Vesuvio.