Il popolo di Silvio è con lui

Anticomunismo, libertà dall'oppressione fiscale, questione della giustizia. E sulla moneta unica europea e il suo governo finalmente parole chiare

Il popolo di Silvio è con lui

La nascita di una destra di Sua Maestà, irreprensibile e perbene nel senso in cui la intende e la desidera la sinistra, è rinviata a data da destinarsi. Due ore di discorso di Berlusconi hanno riproposto in ogni dettaglio il mito delle origini del suo movimento: anticomunismo, libertà dall'oppressione fiscale, questione della giustizia. E sulla moneta unica europea e il suo governo finalmente parole chiare, non secessioniste ma anzi interventiste: ci sono cose da fare per evitare un egemonismo della Germania e della burocrazia di Bruxelles, e il catalogo è questo. La scissione di un gruppo di ministeriali non cambia molto. Berlusconi è stato politicamente sottile, non ha concesso troppa importanza alla faccenda, e ha messo in campo, oltre la sua amarezza personale, un appello per l'unità futura. D'altra parte bisogna che noi italiani impariamo ogni volta a riconoscerci nella nostra essenza psicologica: con un leader azzoppato da una condanna giudiziaria, almeno virtualmente, non è nulla di eccezionale una consorteria che lo molla e si aggrappa a un governo purchessia in nome della stabilità della legislatura. E ben si attaglia a questa storia che a Roma si direbbe un po' loffia il verso di Giovanni Giudici: C'è più gusto a tradir per intero che a esser fedeli a metà.
Ho visto una riunione scalcagnata di giornalisti e osservatori in tv, mentre Berlusconi finiva di parlare, che lo trattava irridente da cane morto, da oratore confuso, anticomunista in ritardo. Si muovevano a loro agio nel salottone televisivo, agguantavano la chiacchiera di sinistra con agilità e qualche speranza, per una volta, di avere infine la ragione dei fatti dalla loro parte. Invece quello che parlava era il solito eroe popolare, uomo di consensi e di unanimismi, piacione con vocazione melodrammatica, e anche ormai un esperto delle trappole politiche, capace di fissare la media frequenza di una sintonia non fanatica con il suo popolo rinato al fastigio del movimento originario, del nome e della cosa originaria. La domandina che sfuggiva ai salottieri era in realtà semplice: c'è ancora il suo popolo? Tutto il resto conta poco. Fino a prova contraria, c'è. Un pezzettino di nomenclatura meridionale, con l'appendice del ciellismo nomade, scroccone e opportunista, si è separata e si è legata con l'adesivo a Enrico Letta, un galantuomo che ha vinto la lotteria di Palazzo Chigi, finendoci per caso e un po' grazie a Berlusconi, e fino ad ora non ha dimostrato di saper spendere il malloppo ricevuto in sorteggio. Hanno idee? Hanno voti? Hanno carattere? Hanno qualche traino emozionale? Sono freschi? Sono autonomi? Sono competitivi? Vedremo. Per adesso è lecito dubitare. Il massimo che si possono permettere è di chiosare le sentenze insicure di Fabrizio Saccomanni, e i piccoli passi senza direzione della compagine ministeriale.
Questo Berlusconi qui, che sceglie la via di un percorso di nuovo autonomo, senza fare lo sfasciacarrozze e il populista straccione, ma senza concedere alcunché a quanti lo vorrebbero rassegnato e inerte di fronte alla tremenda mazzata giudiziaria che gli hanno inferto, porrà qualche problema, nonostante tutto, anche alla sinistra e ai qualunquisti e demagoghi. Grillo e Casaleggio si sono accorti di avere mandato in giro via web una quantità di forchettoni e di paraministeriali, a parte l'eccesso illetterato che si constata ogni giorno; Vendola dovrà farsi perdonare, lui che ha una spiritualità così teneramente e populisticamente narrativa, la banale trascrizione audio di una telefonata con il missus della famiglia Riva, una conversazione da servo sciocco di cui mi vergognerei perfino io che sono uno svergognato. E Renzi? O si sbriga a rimuovere l'ingombro del governo Letta, con tutta la pattuglia degli ultimi arrivati, trascinando il Paese a elezioni politiche serie, oppure lo vedo cotto. Nel Partito democratico non sarà accettato come leader effettivo, le premonizioni minacciose di D'Alema fanno testo. E nel Paese bipolarizzato, con un centro fragile e chimicamente dissolvente, con un Berlusconi che scrive la sceneggiatura della vendetta, ci sarà poco da ridere, giovanilismo a parte.
Può essere che l'interdizione forzosa dalla corsa in prima persona porti a un decadimento della capacità combattiva dell'esercito di Berlusconi. Può essere. Ma le radici del fenomeno sono ormai rinsaldate nel tempo, nelle abitudini, nei comportamenti sociali e nel mito della libertà, e solo una credibile alternativa può risolversi in qualcosa che prescinda da lui e che vada oltre la sua esperienza personale. Per ora, a guardare come stanno le cose senza illusioni e senza opacità, sembra perfino cullarsi, nel caos dell'Italia, l'ipotesi di un berlusconismo che sopravvive a sorpresa.

segue a pagina 3

di Giuliano Ferrara

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