L a sanità pubblica vicina al default. «La sostenibilità del nostro Servizio sanitario nazionale potrebbe non essere garantita se non si individuano nuove modalità di finanziamento». A dirlo è Mario Monti e le parole del premier appaiono come il colpo di grazia a un sistema già fortemente in affanno. Non garantire la stabilità vuole dire in termini concreti non assicurare più le cure primarie e tanti saluti al principio del diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della nostra Costituzione.
Parole gravi che suscitano reazioni durissime nel mondo politico e tra i sindacati del settore. Tanto che Monti si vede costretto a mitigare l'allarme sul default con una nota ufficiale, anche se poi in sostanza lo conferma. «Le garanzie di sostenibilità del Servizio sanitario nazionale non vengono meno - precisa Monti - Per il futuro è però necessario individuare e rendere operativi modelli innovativi di finanziamento e organizzazione dei servizi e delle prestazioni sanitarie».
Che vuol dire in concreto? Monti parla di «finanziamento integrativo» oltre a quello a carico della fiscalità generale. Ovvero alcune prestazioni fino a ieri gratuite o a basso costo ora i cittadini dovranno pagarle di più e di tasca propria. Tra le strade percorribili oltre a quella di nuovi ticket il ministro della Salute, Renato Balduzzi, sta pensando all'introduzione di un obbligo assicurativo per i cittadini, esentando solo le fasce di reddito più deboli.
L'allarme di Monti è purtroppo fondatissimo. Nel 2012 la spesa sanitaria pesa per circa 113 miliardi di euro. Per rispondere ai bisogni del sistema dovuti a una popolazione che invecchia, composta da malati cronici sempre più bisognosi di assistenza, questa spesa è destinata a raddoppiare nel giro di circa 30 anni passando a 261 miliardi di euro. Non solo. Nel frattempo la spesa pubblica pro capite a causa dei tagli al fondo sanitario invece di aumentare è diminuita. È stato calcolato che il cittadino italiano avrà una media di 800 euro in meno all'anno per la sua salute rispetto agli altri europei. In sintesi il sistema del Welfare italiano si sta sgretolando e il governo Monti affronta il problema aumentando i costi a carico del cittadino.
Ma siamo sicuri che sia questa l'unica cosa da fare? Se è vero che la pessima gestione dei fondi destinati alla sanità da parte di molte, troppe, Regioni è un male radicato da tempo e dunque non imputabile a Monti è pure vero che anche questo governo sembra voler scegliere la strada «facile» mentre quella più ardua della razionalizzazione sembra essere stata accantonata perché è più facile mettere le mani in tasca ai cittadini che scovare sprechi, non soltanto quelli dovuti a negligenza ma pure quelli in malafede.
Che fine ha fatto il «Patto per la salute» tra Stato e Regioni scaduto da oltre un anno e mai rinnovato? Non è stato possibile trovare un accordo e quindi addio per il momento anche ai costi standard. Ovvero all'introduzione di quel principio sacrosanto per il quale una siringa che costa 10 centesimi in una Asl non può essere pagata 1 euro in un'altra e la stessa protesi d'anca non può passare da 248 a 2.575 euro. Anche senza aver siglato il «Patto per la salute», dicono dal governo, i tagli previsti dalla spending review non si fermano. I posti letto devono diminuire di 7.389 unità: da 231.707 a 224.318. Balduzzi rassicura i cittadini ribadendo che questo governo non intende privatizzare la sanità. Non si deve parlare di tagli ma di riorganizzazione: meno posti letto in ospedale più lungodegenze e assistenza sul territorio. Ma per la riorganizzazione non ha previsto alcuna spesa.
Costo zero anche per l'apertura dei poliambulatori 24 ore su 24 disciplinati dal decreto Balduzzi varato pochi giorni prima che Monti dicesse: non garantiamo più la stabilità del sistema. Ma non se ne erano accorti quando hanno varato il decreto? E come si fa a riconvertire i letti per acuti degli ospedali in lungodegenze senza costi? Misteri della spending review.
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