In prigione senza prove, un appello per salvare Chico Forti

L'imprenditore italiano condannato all'ergastolo negli Usa. Servono fondi per ottenere la revisione del processo

Enrico Forti è rinchiuso in una prigione di massima sicurezza nelle paludi infestate di alligatori delle Everglades
Enrico Forti è rinchiuso in una prigione di massima sicurezza nelle paludi infestate di alligatori delle Everglades

Una battaglia durata dodici anni e chi la combatte non si è arreso. Chico Forti, imprenditore trentino, campione di windsurf è in carcere a Miami dal 2000 dopo esser stato giudicato colpevole di omicidio. Lui, che si è sempre dichiarato innocente, da sempre ha potuto può contare sull'attività incessante di parenti, amici ma da adesso anche del governo nella persona del ministro degli Esteri Giulio Terzi: ieri hanno presentato l'ultima iniziativa al Circolo della Stampa, «Una chance per Chico».
L'obbiettivo è quello di raccogliere fondi per la richiesta di revisione del processo, terminato con una condanna a vita, che dovrebbe essere presentata entro fine anno. «Come minimo - quantifica l'avvocato Roberta Bruzzone - servono 300mila euro». Una cifra considerevole anche perché la famiglia in questi anni ha già speso molto. E per un uomo che a detta di molti è in galera dopo un procedimento discutibile: «L'idea che mi sono fatta - ha spiegato Emma Bonino - è che si tratti di un caso abbastanza manifesto di mala giustizia: nella procedura ci sono gravi omissioni e la sentenza fa riferimento più alle sensazioni che a una prova specifica». Dale Pike è l'uomo che per l'accusa statunitense Forti avrebbe ucciso dopo aver tentato di truffare il padre con l'acquisto di un hotel a Ibiza.
La struttura però secondo i difensori dell'italiano non sarebbe nemmeno appartenuta alla famiglia Pike. E sarebbe stata questa a cercare di raggirare il nostro connazionale. Ma questa non è l'unica stortura che i legali della difesa hanno riscontrato: «Per citarne una - racconta Bruzzone - Chico testimoniò di essersi fermato a un'area di servizio dove Dale Pike aveva telefonato da una cabina: per dimostrare che mentiva la polizia portò i tabulati della cabina, peccato che il giorno fosse giusto, ma era quello dell'anno dopo».
E questo fatto, quelli più gravi l'avvocato preferisce tenerli segreti fino al processo, sarebbe solo una dei problemi su come sono state condotte le indagini. Nel corso della conferenza Red Ronnie in un messaggio video ha sollevato anche il dubbio che la polizia locale abbia svolto l'inchiesta in modo discutibile anche per un rancore pregresso nei confronti di Forti: lui era stato anche autore de «Il sorriso della medusa», un film-documentario sull'omicidio Versace.
E i poliziotti americani non ne uscivano molto bene. Sono tanti insomma gli elementi a favore dell'innocenza di quello che l'ex assessore Giovanni Terzi ha definito come «un ragazzo che si è trovato nel mezzo di questa terribile vicenda».


Compreso il fatto che la difesa, all'apparenza almeno disattenta, nel processo pare sia stata «distratta» da questioni di denaro: «Quando il grosso studio a cui si era affidato Chico - ricorda lo zio Gianni Forti - seppe che lui in realtà non era un riccone italiano da spremere come gli era sembrato cambiò atteggiamento».

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